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139 ANNALI D'ITALIA, ANNO XLI. 140

del suo merito Caligola; perciocchè dicono, che gli era stato ultimamente predetto che sarebbe ammazzato da un Cassio, come fu ancora Giulio Cesare: il che fu cagione che egli richiamò a Roma Cassio Longino proconsole dell’Asia1, discendente da Cassio, uccisor di Cesare, con ordine ancora di ucciderlo, ma senza che ne seguisse poi l’effetto. Trasse Cherea nelle sue massime Cornelio Sabino, tribuno anche esso delle guardie; ed amendue si aprirono con Annio Minuciano, uomo della primaria nobiltà, e pel suo raro merito stimato da tutti; ma che stava male presso di Caligola, per essere stato amico intimo di Marco Lepido. Scrive Giuseppe, che questo Minuciano avea sposata una sorella di Caligola. Noi vedemmo che Giulia fu maritata con Marco Vinicio, uomo consolare; e Dione parla di un Viniciano che pretese all’imperio. Però potrebbe essere che Minuciano fosse il medesimo che Viniciano o sia Vinicio, con errore di alcuno de’ testi. Si trovò Minuciano non solamente pronto all’impresa, ma più ardente degli altri. A loro si aggiunse Callisto liberto di Cajo, che secretamente coltivava la amicizia di Claudio zio dell’imperadore, con altri non pochi. E Valerio Asiatico, personaggio ricchissimo di beni nelle Gallie, vi tenea mano, ma con gran secretezza e riguardo. Fu destinato al compimento del disegno il tempo de’ giuochi che si aveano da fare in onor di Augusto nel dì 21 di gennaio, e nei tre seguenti: giacchè terminata quella festa, Caligola avea fissata la sua partenza per l’Egitto, a far ivi meglio conoscere un impazzito imperadore. Nei tre primi giorni de’ giuochi non si trovò apertura a compiere il disegno: laonde Cherea, che non potea più stare alle mosse per paura che messo l’affare in petto di tante persone traspirasse, determinò di sbrigarla nel dì 24 di gennaio.

Nella mattina di quel dì, Cajo più allegro ed affabile che mai fosse stato, si [p. 140]assise nell’anfiteatro, fabbricato di nuovo per quella funzione; fece gittar delle frutta agli spettatori; egli ancora lietamente in pubblico mangiava e beveva, facendo parte di quei regali a chi gli era vicino, e specialmente a Pomponio Secondo console, che sedea ai suoi piedi, e facea la graziosa scena di andarglieli baciando di tanto in tanto. Pericolo vi fu, che Cajo non si movesse di là nel rimanente del giorno; perchè assai satollo ed abboracchiato per la lauta colezione, bisogno non avea di desinare. Contuttociò riusci a Minuciano, ad Asprenate e ad altri cortigiani congiurati di farlo muovere un’ora o due dopo il mezzodì, per andare al bagno, e ritornarsene, pranzato che avesse. Giunto al palazzo, in vece di andar diritto verso dove l’aspettavano i destinati al fatto, voltò strada per vedere alcuni giovanetti delle migliori famiglie dell’Asia e della Grecia2 fatti venire apposta per cantare e ballare ne’ giuochi. Allorchè fu in un luogo stretto, Cherea se gli presentò davanti, per chiedergli il nome della guardia. L’ebbe, ma derisorio, secondo il costume. Egli messa allora mano alla spada gli diede un tal fendente sul capo, che a Cajo sbalordito neppure restò voce per chiamare aiuto. Fecesi avanti anche Cornelio Sabino, che con un colpo gli tagliò una mascella; ed altri con trenta altre ferite il finirono. Perchè senza rumore non potè succedere quella scena, trassero colà primieramente i portantini della lettiga imperiale colle loro stanghe, e poscia le guardie tedesche, le quali cominciarono a menar le mani addosso a’ colpevoli ed innocenti. Fra gli altri vi perderono la vita Publio Nonio Asprenate, che era stato console nell’anno 58, Norbano ed Antejo, tutti e tre senatori. Il cadavere dell’estinto Augusto, portato nella notte seguente nel giardino di Lamia, fu mezzo bruciato, e frettolosamente seppellito in terra, per timore che il

  1. Dio., lib. 59. Suetonius in Cajo, cap 57.
  2. Suet. in Cajo, c. 58. Dio., lib. 59. Joseph., Antiq., lib. 59.