Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/20


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nel pugno e digrignava i denti per meglio difendersi:

— È mio, è mio; ti dico che è mio.

Ma poichè l’altro gli forzava ferocemente le dita, e lo morsicava per giunta, aprì il pugno e cominciò a piangere urlando. Anche il cane mugolò: Annalena fermò di botto la cavalla.

— Ma, figlio di un cane, — gridò al giovine padre; — perchè non li sculacci bene sul sedere nudo? Adesso lo faccio io.

Con agilità giovanile balzò dal biroccino, montò sulla ruota del carro, e afferrati e stesi uno dopo l’altro sulle materasse i due litiganti, scoprì loro le natiche grassoccie che per i colpi della mano di lei si colorirono come le guancie di un ubbriaco.

— Adesso meriteresti altrettanto tu, che non sai educare i tuoi figli, — disse al giovine, mentre i bambini si sollevavano tramortiti.

Lo zio Dionisio taceva; ma quando la donna risali sul biroccino e aizzò la cavalla col suo lungo ihù da carrettiere, egli si strinse la barba con la mano sana (l’altra la teneva sempre abbandonata di qua e di là come un peso inutile) e sentenziò:

— Se ne daranno, se camperanno.

— Perchè? I miei figli, da piccoli e da