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— Toh, pare sordo muto e parla meglio di Mussolini.
Altri evviva; poi venne in tavola il calamaio di famiglia, con dentro l’inchiostro pallido per vecchiaia ed abbandono, e sulla cartolina con la chiesa del paese furono scritte le firme: prima di tutte quella di Urbano, che in quanto a calligrafia poteva dar dei punti al parroco; poi quella barcollante di Annalena, e via via le altre; per lo zio firmò Giovanni; anche i bambini vollero fare una croce; ed infine fu invitata Gina, ma ella rifiutò.
— Va a farti strabenedire,— disse sottovoce a Bardo, che aveva deposto il calamaio e la cartolina sulla madia, fra gli avanzi della polenta. — Credete già di essere diventati padroni, qui, perchè il disgraziato è brillo.
— Proprio così, — rispose Bardo per farle dispetto: e per vendicarsi meglio chiamò Tom, lo fece sollevare sulle zampe posteriori, in quella destra anteriore mise la penna e la condusse come la mano di un bambino a firmare la cartolina.
Questa volta rise anche il colosso triste; ed Osca, che aspettava il momento buono, si rivolse a lui, col gomito sulla tavola, per domandargli se non avrebbe comprato lui la saggina del loro campo.