Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/163


— 153 —


— Ed è inutile che tu finga, Annalena; tu pure mi vuoi bene. Dimmelo, però, dimmelo.

— Ti voglio bene, sì, come si vuol bene a tutti i galantuomini.

Egli tese le mani per impedirle di continuare.

— Non così! Non so che farmene, di questo bene. Voglio il vero bene, l’amore. Ti voglio non come amica, ma come amante.

Ella sollevò il viso, fiera e triste.

— Urbano, dimentichi che io sono nonna. Che direbbero i ragazzi se ci sentissero? Sono loro, adesso, che devono amarsi: la tua Lia col mio Giovanni, o col mio Baldo.

Si fermò spaventata: perchè si accorgeva che davanti alla debolezza dell’uomo, i suoi calcoli di madre risorgevano attraverso il suo amore di donna. E non era meglio così? No, non era meglio; poichè sentiva l’uomo già sopra di lei, ardente di carne, di dolore, affamato d’amore; e pensava che bastava cedere un poco, abbandonarsi anche lei al suo desiderio, per fare di lui uno strumento della sua ambizione.

— Lasciami, — supplicò dibattendosi. — Lasciami e vattene.

Egli la stringeva con un braccio, le sfio-