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bina, com’egli la chiamava, che era poi una ragazza di diciasette anni, ma così gracile e piccola, timida e scontrosa, da sembrare davvero, col suo viso giallognolo e gli occhi obliqui d’uno strano colore tra il verde ed il nero, una bambina tartara selvaggia.
A vederla accanto al padre, Bardo non seppe celare il suo sogghigno di beffa: ella se ne accorse e tentò di nascondersi dietro il colosso.
La vivacità d’Isabella, che era venuta con loro a visitare i Bilsini, rendeva più opaca e misera la sua figura: eppure tutti, anche Bardo per farsi scusare, la circondarono e la festeggiarono.
Annalena le accarezzò i poveri capelli neri oleosi; glieli aggiustò, anzi, col pettine delle sue dita, come faceva coi nipotini, poi la condusse via con sè, nella saletta, e le regalò un uovo pasquale, ma di quelli di cioccolata con l’agnellino di zucchero sopra e dentro un anello di stagno.
— L’ho serbato finora per te, poichè sapevo che saresti venuta. Lo mangerai con la tua mamma, — disse, attirandola ancora a sè come per abbracciarla.
Abbracciarla veramente voleva, ma non poteva; perchè nell’esile personcina di Lia,