Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/108


— 98 —

chi grandi neri che parevano davvero due abissi languidi dove la pupilla era naufragata e con essa la luce di Dio: prese la tazza e la depose sul tavolino accanto; poi balzò e afferrò la donna con la mossa selvaggia del coccodrillo, la rovesciò sul lettuccio, le cercò le labbra e soffocò con un bacio brutale il grido di lei.

Ella sentì i denti di lui battere contro i suoi, e le parve che tutto si frantumasse, nel mondo; ma ricordò appunto la storia del coccodrillo e pensò che per salvarsi bisognava fingere. Chiuse gli occhi, rallentò le mani, parve abbandonarsi; ma quando Pietro, già sicuro di poterla prendere, la lasciò un po’ libera, ella balzò in piedi ed urlò.

Si sentirono subito i passi della madre, nella camera sopra: a sua volta Pietro si lasciò andare riverso sul lettuccio e finse di essere svenuto.

— Sono venuta.... sono venuta a portargli il caffè, che lui voleva perchè si sentiva male, e l’ho trovato così.

Gina mormorava affannata le parole di menzogna, mentre Annalena era già piegata sul figlio; ma dal silenzio della madre, dal suo alito stesso, egli sentiva che ella aveva già inteso tutto.