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di musica religiosa, gli sarebbe caduta fra le braccia già svenuta d’amore.

Egli invece non ricordava più le parole di sole e di profumo che gli amanti gemevano nel giardino incantato: ricordava solo come quei due si baciavano e si possedevano, e non voleva perdere tempo in vane chiacchiere. Aveva paura, inoltre, di essere sorpreso dalla madre e dai fratelli: disse quindi con astuzia:

— Gina, lo stare su in quella Siberia in compagnia dello zio mi ha fatto venir freddo. Non hai qualche cosa di caldo da darmi?

— Un po’ di caffè? — disse lei smarrita.

— Sì, se ce l’hai pronto. Anzi, portamelo di là, nella saletta: voglio un po’ riposarmi.

La sua voce era calma, anzi un po’ assonnata: e Gina, che non osava guardarlo in viso, aveva vergogna dei suoi pensieri e del suo desiderio colpevole. No, Pietro non pensava a lei; e lei se ne sentiva, pure vergognandosene, profondamente infelice.

Versò il caffè dalla grande nella piccola cuccuma annerita dalla fiamma, ed in un attimo lo scaldò. Lo zucchero e le tazze erano nella saletta: quindi ella portò solo il piccolo recipiente caldo che le pareva palpitasse fra le sue mani: erano le sue mani che tremavano.