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286 | le anime oneste |
Tutti giovani, belli, eleganti, dotti, colti, ambiziosi come me!
— Fammi il piacere, non guardarmi così; io non so cosa farmene della tua pietà, per quanto gentile sia. So tutto quello che vuoi dirmi, ma non so se io ci penso, se sono contento o se soffro. Non so neppure come finirò. Chi sa? Se avrò volontà, se i miei nervi me lo permetteranno, forse avanzerò. Ma perchè? Perchè dovrò lavorare? Non ho alcun ideale, non credo all’amore, e per la gloria mi sento troppo piccolo, troppo vuoto, benchè mi creda ancora un gran personaggio! Tu sai la mia superbia. Vivrò piuttosto così, sempre, senza credere a nulla, procurando di godere, aspettando di continuo un’ora che non arriva mai. Una gran miseria, non è vero, cugina? Sì, sì, senti; quel che io ti dico non è la sola verità. Più in fondo ce n’è un’altra. Tu la comprendi; quindi è inutile ch’io te la riveli. Ne arrossisco, vedi, ma è così. Sì, sono umiliato, ma non voglio dimostrarlo, e sono più superbo che mai nella mia umiliazione. Sono ambizioso, ma spero poco nell’avvenire. E soffro, sì, soffro,