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50 | guerino. |
co Meschino, il quale sostenesse i terribili assalti degli avversari. Andò addosso a Tanfirio, e dettegli a due mani in su la spalla manca, e partillo fino alla forcella del petto. Poi gridò a Greci, de’ quali chi era a piè e chi a cavallo involti nel sangue, per animarli a combattere, e tutti si volsero sopra quei quattro Turchi che eran rimasti vivi, tutti quattro figliuoli del re Astiladoro, i quali avevano nome Brunoro, Anfitras, Aramonte e Atriziam. Il Meschino li assalì tutti ad un’ora per dare loro la morte. Essi all’incontro vedendo perduta ogni speranza, si gettarono da cavallo, e si resero per prigioni stando ginocchioni. Per questo il Meschino ebbe di loro pietà, ed avendo comandato a Brunoro che andasse per le chiavi, egli se n’andò tosto verso la città. Chi potrebbe dire quanto fosse cangiato l’animo dell’imperatore, il quale, avendo avuto novelle di vittoria, montò sopra le mura allegrissimo.
Quando il Meschino uscì della bastia, i Greci furono in tutto diciannove, de’ quali poi ne morirono cinque per le ferite. De’ Turchi scamparono solo quattro, e quelli furono menati prigioni dentro nella città, nella quale era gran pianto per i morti, e grande allegrezza per i vivi, i quali avevano avuto vittoria, la qual vittoria fu cagione che i Turchi dovettero far la pace co’ Greci, e loro restituire le terre che Astiladoro teneva pe’ suoi figliuoli, come si vedrà ora.
Poichè il Meschino entrò in Costantinopoli vincitore, l’imperatore convitò la chieresia della città, e venne loro incontro con grande onore ricevendoli1. Il Meschino come fu dentro, mandò un trombetta al re Astiladoro significando che la vittoria era dell’imperatore di Costantinopoli, e come quattro figliuoli di lui, cioè Brunoro, Anfitras, Aramonte e Atriziam erano rimasti vivi, ed erano suoi prigioni. Di quest’ambasciata tutto il campo fu
- ↑ Chieresia, chiericia, clero, nota il vocabolario della Crusca. In una delle più recenti edizioni in vece di raunò la chieresia, sta scritto convocò il consiglio. È giusta l’una e l’altra lezione, ma nel vocabolo chieresia vedesi inoltre di chi fosser composti a quei tempi i consigli dei re e dei principi, di chierici cioè: che essi erano i soli che attendessero allo studio, donde poi il vocabolo chierico venne ad essere sinonimo di dotto e uomo saputo. Da Carlomagno in poi, massime nel X ed XI secolo crebbe talmente la potenza dei preti, che essi divennero baroni del regno, sì che destarono colla loro potenza quell’invidia nei laici, d’onde nacquero le continue e scellerate tragedie dello stesso XI secolo, e di cui Arrigo IV di Germania e Gregorio VII papa furono gl’infelici protagonisti.