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cadde in terra crudelmente ferito dal Meschino, il quale così ferito lo mandò dentro a Costantinopoli prigione.

Tornò al campo a domandar battaglia. Come Pinamonte seppe che Torindo era prigione, e sentì a suonare il corno, domandò le sue armi. — Chi mai potrà esser quel cavaliere che fa di tante prodezze nel campo di tuo padre?» richiese egli da capo ad Alessandro. Cui egli: — Se non è il Meschino, io non so chi sia, e se è lui, egli è il più franco uomo del mondo». Pinamonte andato al padiglione del padre confortollo, e montato a cavallo venne con sua licenza contro il Meschino. Giunto a lui, disse: — Dio ti confonda, o miscredente, tu hai rotto il patto d’Alessandro, il quale promise, se egli perdesse, di darci la città». A cui il Meschino: — Taci là, maledica lingua; Alessandro non può obbligare quel che non è suo, come tu stesso senza licenza di tuo padre; e se Alessandro avesse fatto quel che non doveva fare, non sarebbe più egli l’erede, ma io». Pinamonte lo domandò chi era, e chi avevalo fatto cavaliere, ed egli si dichiarò pel Meschino, perciocchè fu subito da Pinamonte conosciuto, questi ricordandosi d’averlo veduto servire ad Elisena. Domandò quindi se egli fosse colui che vinse la giostra. — Io non sono a te soggetto, dissegli allora il Meschino, ch’io ti abbia a dire i miei segreti; prendi del campo e guardati». Presero allora ambidue del campo, e dieronsi dei gran colpi. La lancia di Pinamonte spezzatasi, il Meschino gli passò mezza la sua lancia di dietro, e morto lo abbattè da cavallo. Rottasi anche la sua lancia nel cadere, andò subito per un’altra, e tornato nel campo suonò nuovamente il corno domandando battaglia.

Arresto il filo del mio racconto per dire il gran dolore che fu nel campo de’ Turchi per la morte di Pinamonte, e la grande allegrezza e speranza del Meschino che fu nella città. Elisena diceva verso il cielo: «Piacesse a Dio che il Meschino fosse mio marito, oh! sì, sono sicura che, lui vincendo, mio padre me lo darà per marito». Ma il pensiero le era fallato, dovendosi essa ricordar ancora di avergli detto tanta villania, per cui l’amore era rivolto in odio.

L’imperatore uscì dalla città con circa seimila cavalieri ad ammirare l’intrepidezza di quel cavaliere sul campo di battaglia, ed ognuno salutandolo diceva fra sè: «Egli è quello certamente che vinse la giostra». Il re Astiladoro all’incontro, quando vide il