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capitolo iii. 25


— Sai chi egli possa essere?» Il Meschino non rispose, ed ella sospirò1.

In questo venne Alessandro, il quale salutato con molta cortesia da que’ signori, e postosi quindi a sedere con loro, udì le molte parole della giostra che erano per la sala; chi vantandosi di una cosa e chi d’un’altra. Ma soprattutto egli era da dire chi avesse vinta la giostra. Nessuno de’ baroni che erano venuti, era stato nascosto da poter dire: Io son desso. Nè che fosse stato Alessandro si poteva giudicare, poichè da tutti egli era stato veduto, e con tutti aveva parlato, onde grande contesa di opinioni e di giudizii.

Quando ebbero cenato, l’imperatore fece chiamare il figliuolo Alessandro, domandandogli chi fosse quel cavaliero vestito di bianco, che aveva vinta la giostra. Alessandro rispose d’essersi molto affaticato per conoscerlo, e non aver potuto. Per questo l’imperatore fece fare un bando, che qualunque pria l’assegnasse alla corte, avrebbe avuto un bellissimo dono, tanto quanto montava il prezzo del dono assegnato al vincitore. Nè anco per questo mezzo gli fu dato di trovare chi fosse.

La vegnente mattina fece l’imperatore convocar tutti i baroni nel real palazzo innanzi a lui medesimo, e fatto venire que’ tre gentiluomini ch’avevano a giudicare la giostra, comandò che giudicassero chi aveva vinto. Essi risposero che l’onore non si poteva dare se non a quel cavaliero che non si trovava, e non vedevano che ad altri si potesse concedere. Conciossiachè tra tutti i cavalieri e signori non fosse un solo, il quale non fosse caduto; se

  1. La prodezza, il valore e la forza con cui un cavaliere si era in simili giuochi mostrato agli altri superiore, bastava per acquistare l’affezione e l’amore delle più belle dame. Così quello solo che era stato il più valoroso di tutti poteva esser degno d’esser amato dalla figliuola dell’imperatore. Nelle vere come nelle finte battaglie il desiderio di piacere alla donna era il più forte stimolo alla virtù. Supponevasi che la più bella non potesse amare che il più prode. Perciò a quei tempi l’amore non fiaccava gli animi, che anzi della debolezza e della vigliaccheria faceva il maggior delitto, ed una macchia d’obbrobrio incancellabile. Per l’amore dovevano i cavalieri emularsi gloriosamente l’un l’altro a vantaggio della patria. Tutti i discorsi delle donne tendevano ad infiammare sempre più il coraggio degli amanti loro. Alain Chartier nel suo poema rappresenta la dama di un cavaliere uscito sano e salvo dalla battaglia per mezzo di una fuga vergognosa. La dama e nell’atto della più crudele desolazione per aver portato amore ad un cavaliere vile. Secondo le leggi d’amore, ella disse, io l’avrei desiderato piuttosto morto che vivo.