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capitolo xlii. 325

parti oscure e spaventose. Essendo giunti nella selva, videro una bella fortezza, lungi da loro circa due miglia in capo di questa valle; allora si confortano, e andarono di buon passo sino alla fortezza la qual era poco tempo che era stata fatta. Questa fortezza aveva due torri alte, ed era in cima di un monticello molte forte. In questa rocca stava un Saraceno molto valoroso della sua persona, nominato Sinogrante di Saragona, il quale aveva fatto questa Rocca, e teneva in sua balìa una bella damigella, che aveva tolta in una festa al re di Saragona, ed aveva nome Diaregina, e aveva con lui in questa rocca cinquanta cavalieri, che avevano preso tutto il bestiame di Persepoli e condotto in quella rocca. Quando Trifalo vide questa fortezza, molto si maravigliò, perchè in avanti non vi soleva essere fortezza alcuna; niente di meno s’inviarono a quella volta, ma come furono appresso, uno che stava sopra una di quelle torri suonò un corno, e quelli del castello si armarono, cioè i cinquanta cavalieri. Il loro signore Sinogrante si fece ad una finestra, e vedendo venire questi tre cavalieri armati, subito dimandò le sue arme ed il cavallo, e la bella Diaregina lo ajutò ad armarsi. Egli abbracciò nel partire, dicendole: — «Tutto quello che io guadagnerò sarà tuo, e quelli ti darò per prigioni, sieno chi si vogliano, e detto questo montò a cavallo, e uscì di fuori incontro a questi tre cavalieri.

Quando Artibano vide venire questa gente, si fermò e disse ad Alessandro: — «Noi avremo battaglia con questa gente; che ti par di fare?» — Alessandro disse: — «A me pare di mandare per Guerino,» e d’accordo dissero a Trifalo: «Va, e dirai al Meschino dove noi siamo, che venga in queste parti». — Allora Trifalo tornò indietro, e Alessandro ed Artibano si assettarono le armi. In questo giunse Sinogrante appresso loro d’un trar di mano, e fermatosi disse ad un suo vassallo: — «Va incontro di questi due; dimandagli chi sono, e di quel che vanno cercando». — Il famiglio andò a loro, e salutolli da parte di Macometto, e poi gli disse: — «Sinogrante, signor di questo castello, vi manda a chiedere chi voi siete, e quello che andate facendo». — Disse Artibano: «Noi domandiamo da mangiare per noi e per un nostro compagno, il quale per la