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rise tra’ baroni facendosi beffe di lui; ma ridevasi egli insieme ad Alessandro più a giusto diritto degli altri, chè la maggior parte di quelli che lo burlavano aveva abbattuti co’ suoi colpi.

Intanto venne la notte. Alessandro e il Meschino la vegghiarono tutta per ispiccare i ricami d’una sopravvesta1, la quale era di drappo alessandrino, che dovea coprir lui ed il suo cavallo; e ciò perchè non fosse nel prossimo dì conosciuto.

Giunta la dimane, la giostra cominciò a buon ora per quelli di bassa condizione. All’ora del mangiare il Meschino serviva dinanzi ad Elisena e Alessandro a pranzo seco lei, e molti baroni che erano presenti motteggiando il gabbavano. Sopportava con quanto più poteva di pazienza le pungenti parole di quella nobiltà, sperando la mercè di Dio di farsene in qualche tempo vendetta. Intanto, mangiato ch’ebbero, Elisena con molte damigelle andarono ai balconi dove erano state l’altro dì, e subito il Meschino disse ad Alessandro: — Andiamo per la faccenda che tu sai». Più di quaranta baroni erano già entrati in piazza, e le grida erano grandi della gente che stavano a vedere, e dei giostratori che si portavano dentro allo steccato. Il Meschino, che andava confortandosi di speranze, fu subito accompagnato nel giardino da Alessandro, il quale, armato che l’ebbe con una lancia molto grossa in mano, e collo scudo al collo, gli mise a lato una spada, pregandolo che l’adoperasse, se nel partir della giostra gli fosse dato impaccio. — Questo aveva io nell’animo, rispose il Meschino, perchè altrimenti ne andrebbe la vita ad ambedue per il bando dell’imperatore». Montato a cavallo, ed uscito fuori del giardino, egli alla giostra, ed Alessandro andò su in palazzo per vederlo.

Appena il Meschino entrò nel palancato che gli vennero incontro Pinamonte di Turchia, e Torindo fratello di lui. Alla prima ricevette un gran colpo da Pinamonte tanto che vacillò sul cavallo; non si diè vinto per questo, ma seguitando a respingerli con forza tutti e due pervenne ad abbattere Pinamonte e rovesciare a terra Torindo col suo cavallo; perciò sulla piazza grandi grida.

  1. Simile sopravveste era forse il sorcotto, cotte d’armes, specie di piccolo mantello aperto ne’ fianchi e colle maniche corte che scendeva fino all’umbilico, formato a maniera di tonicella, e foderato talvolta di ricca stoffa, che i cavalieri portavano ne’ tornei e in guerra sotto il giaco di maglia.