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capitolo iii. 15

più, l’imperatore fece bandire che a pena della vita niuno ardisse d’entrare nella giostra, se egli non era gentiluomo e non potesse provare esserlo veramente.

Il qual bando molto dispiacque al Meschino per essere a lui la giostra vietata solo per non poter provare sè essere gentiluomo. E la mattina dinanzi essendo a servire Elisena, gli venne il pensiero di sè e della sua triste condizione, e cominciò a lagrimare sospirando. — Che hai tu, Meschino?», disse Elisena; ed egli rispose: — Io ho gran dolore di me, che non vorrei esser nato al mondo». Le dame che erano a tavola con Elisena, si mossero a compassione, e ragionando fra loro di lui, ognuna diceva la sua. Alcuna diceva: «Ei debb’essere Albanese»; ed una donna di tempo, madre di due damigelle, che era appresso di loro, disse: «Tacete, chè la sua vista dimostra esser gentiluomo e di nobil nazione; e volsesi al Meschino, dicendogli: — Sii pur valente, che sarai amato da ogni persona, se tu farai bene». Il Meschino s’inginocchiò e ringraziolla.

Venne il giorno della giostra, la quale dovevasi fare a ferri puliti, e furono eletti tre baroni che dovessero giudicare quel che si portasse meglio nella giostra, i quali baroni stavano in luogo eminente1 per poter ben vedere chi meglio combattesse.

Venuto il primo giorno della giostra, tutta la città risuonava2 d’armi, d’istrumenti e di cavalli, e la giostra cominciò la mattina per quelli di bassa condizione3. Il Meschino stava ad un balcone

  1. Erano palchi innalzati intorno alla barriera, soventi volte a mo’ di torri e decorati colla più possibile magnificenza. Da questo luogo eminente assistevano allo spettacolo i re, le regine, i principi, le dame e damigelle, ed in vari siti determinati avevano lor posti i giudici, detti marescialli di campo, ai quali toccava il far mantenere nel campo di battaglia le leggi sante della cavalleria, e quindi proferire il loro giudizio. Fra questi vi era anche il giudice di pace. Egli era scelto dalle dame, e dovea essere attento ad interporre la mediazione per qualche cavaliero che per inavvertenza avesse violate le leggi del combattimento. Il campione delle dame, così detto, era armato di una lunga lancia sormontata da una cuffia, la quale abbassata sull’elmo del cavaliero in segno di salvaguardia, dinotava che era subito assolto del suo mancamento, e perdonato.
  2. I cavalieri che andavano al torneo, dovevano suonare il corno per rendere avvertiti gli araldi di portarsi a riconoscere e descrivere i loro stemmi; ciò che fu poi detto blasonare onde il nome di Blasone.
  3. I cavalieri si dividevano in due ordini principali, degli alti e de’ bassi cavalieri. I primi erano titolati e Banneretti; i secondi si chiamavano anche Baccellieri. Essi erano di quel rango che gli scrittori appellavano minores milites ovvero