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CAPITOLO XXXII.
Come il Meschino uscito dalla caverna di San Patrizio tosto andò da messor Dionino, e dal re d’Inghilterra e raccontò quel ch’aveva veduto1.
on dovevano i due Santi Padri essere ancora giunti a piè della scala che gli fu aperta la porta, e come ebbero aperto uscì fuori, e vide i monaci tutti apparecchiati per l’officio, cantando ad alta voce il sesto Salmo Penitenziale, cioè il De profundis, e rendendo grazie a Dio che l’aveva salvato. Poscia due di loro lo menaron nella casa dell’abate, e gli diedero da mangiare, e dopo confortato gli domandarono di quello aveva veduto. Egli scrisse di ciò ogni cosa. Domandò poi il Meschino le sue armi ed il suo cavallo, e armato tolse commiato da loro, e tornò in Ibernia dall’arcivescovo, che gli dimandò quello che aveva veduto nella caverna, e parve quasi ch’ei non gli credesse, onde prese licenza da lui, e tornò nel porto, e ritrovò messer Dionino consolato, che l’aspettava. Quando messer Dionino il vide, corse ad abbracciarlo; e subito tornarono in mare, e navigando verso In-
- ↑ Un’altra lacuna che ci lascia a desiderare la parte più importante del romanzo, cioè la descrizione dell’Isola e del Pozzo di San Patrizio. — Ne darò un sunto a parte nella Prefazione per dimostrare l’analogia che il Pozzo di San Patrizio può avere all’Inferno di Dante.