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14 | guerino. |
drappo alessandrino, intendendo che ogni signore non sottoposto ad altro signore possa menar cavalli cinquanta, e chi è sottoposto possa menare soli venti cavalli, e ogni altro cavaliero cinque e non più, ogni Saraceno poi o Turco o Infedele, re, imperatore o duca non più di venticinque, e non più di dieci cavalieri i signori solo di città.
Fu inteso il bando per tutto il mondo, e d’ogni parte vennero più di cinquemila cavalieri e molti signori, già da gran tempo esercitati in ogni sorta di simili giuochi per giungere a trionfare in questa gran festa, dove erano spettatori i più distinti personaggi d’Europa. Fra gli altri vennero due figliuoli d’Astiladoro re di Turchia, l’un de’ quali aveva nome Torindo, e l’altro Pinamonte; e venne di Macedonia Apolidas, Anfimontus re d’Assiria, Brunas re di Liconia, e Napaler re d’Alessandria, ed Anfilio figliuolo del re di Persia, e Madar e Napar d’Albania; venne Costantino dell’Arcipelago, Archilao e Amazzone di Scio, e molti altri Saraceni e Cristiani. A chi menasse più cavalli era pena, secondo l’ordine del bando, a’ Cristiani perdere l’arme e i cavalli, ed ai Saraceni la vita. Ciascuno trovò l’alloggiamento apparecchiato per sè e suoi cavalli. Tutti i signori erano alloggiati dentro della città, e fuori della città gli altri. Il tempo della giostra si approssimava, e ordinato tutto quello che faceva bisogno, e fatto sulla piazza grande palancato o steccato, dove solamente quelli che giostravano dovessero stare solo con un famiglio1 e non
- ↑ Questi famigli che accompagnavano il cavaliere ad un vero o finto combattimento erano nobili o ignobili, quelli erano detti paggi, donzelli o domicelli, e questi scutiferi. Caffaro ne’ suoi Annali Genovesi, parla di cinquanta cavalieri di Tommaso conte di Savoja, ognuno de’ quali marciava cum donzello et duobus scutiferis. Questo nome ed officio era anche comune allo scudiere. Questi seguiva il cavaliere appena montato sul suo grande cavallo, attento a tutti i movimenti di lui, a consegnargli la spada, a dargli in ogni evento nuove armi, a rialzarlo se caduto, a presentargli un nuovo cavallo, se l’altro troppo affaticato, a scansargli i colpi dell’avversario, e procurargli ogni sorta di simili vantaggi nella furia del combattimento.
feriva l’altro a fine di morte, se non si chiamava vinto. A differenza della giostra, in cui l’uno cavaliere correva contro l’altro coll’aste broccate col ferro di tre punte, nè si cercava vittoria, se non dello scavallare. Nei tornei si combatteva a riprese e giravolte, prima uomo contra uomo, poi truppa contra truppa; e dopo la zuffa destinavasi dai giudici il premio al più prode cavaliere e miglior tiratore di spada».