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capitolo xxvi. | 227 |
non ti vergogni consigliarlo, e anco tratti di volerlo accompagnare?» Udito Guerino queste parole, conobbe bene come il rettore parlava a buon fine, e rispose: — O gentiluomo, voi parlate con buona intenzione, ed accetto il vostro parlare, come di caro padre, ma sappiate ch’io non vado dall’incantatrice per nessun fallo, anzi vado per ritrovare il padre mio, perchè da certi indovini sono accertato che l’incantatrice sola, e non altra persona me lo saprà dire. L’anima mia non è disperata, imperocchè per trovare il padre mio, io mi partii da Costantinopoli, ed ho cercato tutta l’Asia, l’India maggiore e la minore, l’Affrica, la Barbaria, e mi fu insegnato che venissi da quest’Alcina». Udite l’ufficiale queste parole, non disse altro. Partito adunque cominciò andare su per l’alpi, e tutto il resto del dì penò per andare quattro miglia per luoghi selvatici ed aspre
due alte montagne, ai piedi di cui scorre il Freddura. Poche miglia a maestro da Norcia sorge la così detta montagna della Sibilla, nome che gli deriva da un ampio e profondo antro che apre la fauce verso ostro, che sino da’ più remoti secoli chiamano Grotta della Sibilla.
Questa montagna è qui confusa col monte Norcino, col quale essa confina dalla parte di borea, e dove si credeva che proprio fosse la grotta della sibilla. Nel medio evo era universale la credenza di questa sorta di spelonche misteriose, abitate da sibille, fate o dee che avessero un potere sulle cose presenti, come sull’avvenire. Chi non sa del monte di Venere e della spelonca della Sibilla in Ancona? Pio II, epist. 46, ricorda anch’esso la Sibilla abitante nel monte Norsino; nè posso a meno di scrivere quanto ci lasciò su questo argomento Cresaeto nel suo famoso libro De odio Satanæ. Egli racconta che certo Domenico Mirabello arpinate venne arrestato con alcuni suoi complici e giudicato a Parigi come reo di magia, colto nel momento che era per mandar i libri magici da consecrarsi alle sibille presidi della magia. Costui confessò nel giudicio un suo socio, di nome Scoto, il quale era negromante famoso, e che maravigliosi esperimenti dell’arte sua aveva fatti in presenza di molti principi del suo tempo, essere un dì venuto a visitare quell’insigne Sibilla, che dicono gl’Italiani abitare lo speco di Norcia. Il detto Scoto riferì, che costei era di piccola statura, e che sedeva sopra un umile scranno colle chiome disciolte e pendenti fino a terra, dalla quale egli ricevette un libro consecrato, e il demonio chiuso in un anello che essa portava nel dito, per opera del qual libro e dell’anello egli potesse essere trasportato a qualunque luogo ei volesse, purchè il vento non soffiasse in contrario. Disse inoltre che il Sommo Pontefice collocò all’entrata di questo speco alcuni custodi, i quali debbono impedire che nessuno non entri a consultare la Sibilla, eccetto i maghi, i quali sanno rendersi invisibili. Quando poi alcuno parla con questa Sibilla, sia mago o non mago, pei luoghi circonvicini si suscitano improvvise procelle fra lo scroscio tremendo delle folgori e i lampi dei fulmini. — Queste erano le superstizioni sì profondamente radicate nell’opinione universale, dal che quindi ne nascevano tutte quelle fantasmagorie, quei sogni, e quelle visioni poetiche che furono di bellezze inesauribili argomento a più d’uno di questi scrittori, e che resero immortale il nome d’Ariosto, il vero poeta del medio evo colla sua verga magica agitata nel seno de’ mondi incantati.