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CAPITOLO XXVI.


Come Guerino e l’oste entrarono in cammino e arrivarono al castello, quindi al romitorio, ed ebbe egli consiglio dai romiti, dopo il che trovò le oscure alpi della fata Alcina1.


OO

rdinato fra loro ciò che bisognava, la mattina l’oste tolse tre pani e del formaggio ed una fiasca che empì di vino, ed avendo apparecchiato due buoni ronzini, fatto colazione alquanto a buon’ora, montarono a cavallo, e verso la rocca dall’incantatrice cavalcarono, la quale era appresso a Norza2 sei miglia. Giunti a questa rocca furono presentati ad un ufficiale del castello, il quale cominciò a minacciar Guerino dicendo com’era disperato, e che era scomunicato colui che andava in quel luogo, cosicchè tutto faceva il rettore per torgli quell’andata, dicendo a Guerino: — Voi mi parete persona di considerazione, pur volete andar dove non stanno altro che ribaldi e gente disperata; e tu, messer Anuello,

  1. Siamo alle Fate o Sibille, la credenza nelle quali caratterizza gran parte del medio evo, voglio dire quei tempi di barbara superstizione nei popoli, alimentata dalla ignoranza di chi li reggeva, quando cioè un grosso nuvolone pregno di vapori poteva esser creduto uno stregone, od uno spirito malefico, se non un diavolo!
  2. Norcia o Norza è una piccola città vescovile nello Stato romano, provincia d’Umbria, ai piedi dell’Appennino centrale, e rinchiusa in una valle formata da