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206 | guerino. |
andava pur attorno, perchè il sangue tuttavia mancava, e la gente non se n’era accorta, che lo avrebbero soccorso. Il Meschino più con senno che con forza combatteva. Quando il sole cominciò a calare, Almonido per il sangue che aveva perduto, appena stava in piedi, il Meschino se ne avvide, e strinse in braccio lo scudo e verso lui se n’andò, e diedegli d’una punta nel petto, che mezza la spada entrovvi. Almonido diede della scimitarra al Meschino, ma poco male gli fece; tanto sangue aveva perduto, che aveva poca forza; e subito che il Meschino cavò la spada, Almonido cadde morto in terra. Il Meschino corse dov’era il cavallo di Almonido, e presolo, vi montò sopra, e tornò alla sua gente. Quei del campo pieni di dolore portarono il corpo al padiglione. Il Meschino con la sua brigata con gran vittoria tornò dentro del castello, facendo grand’allegrezza, e la sera si fecero gran fuochi per la vittoria ricevuta. In quella notte fuggirono dal campo duecento cavalieri, e vennero al castello. Questi erano di Artilafo e della sua setta, che per paura e forza avevano ubbidito Almonido. Artilafo li accettò dolcemente, e grandissimo onore loro fece.
Era nel campo gran rumore, e molti dolenti per la morte di Almonido. E subito lo mandarono a dire al fratello Artilaro, che, come seppe la morte del fratello Almonido, venne con tante minaccie che tutto il mondo voleva disfare, e cavalcando con gran quantità d’uomini d’arme in fretta, giunse la notte, e venendo il dì in campo trovò che erano fuggiti dal campo due mila cavalieri, dei quali ne entrarono nel castello duecento, i quali minacciò di far strascinare tutti a coda di cavallo; e colui che aveva ucciso il suo amatissimo fratello Almonido, minacciò di farlo mangiare ai cani, e tutti gli altri del castello, grandi e piccoli, uomini e donne, e il castello disfare sino al fondamento; e tutti i parenti ch’erano scappati nel castello, le loro donne, e i loro figliuoli farebbe ardere. Giurò di non far pace con Artilafo per alcun modo, e bestemmiava gli dèi, come il cielo e la terra fossero sottoposti. In tant’ira e superbia montò, che certi de’ suoi maggiori e fedeli consiglieri uccise per ira; e così come uomo furibondo senza alcuna ragione, aspettando il dì, tutta la notte tempestò al padiglione. La mat-