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capitolo ix. 87

mina. Il Meschino molto se ne vergognò, e rispose esser uomo1. Il re Pacifero fece assai maraviglie della bellezza di lui, lo che al Meschino dispiacque all’estremo. Quale sventura era serbata a lui, che era onest’uomo, presso questo brutto re di bruttissima città!

Questa gente sono uomini più che di comune statura, negri e ruvidi, molto lussuriosi e d’ogni vizio di lussuria cupidi. Sono rotti principalmente a quel vizio che è contra i cieli e l’umana natura, testimoni Sodoma e Gomorra che tanto furono in dispiacere alla divina potenza, pel qual peccato mandò Dio il diluvio sopra la terra, e non per altra cagione, peccato che cominciò Caino contra Dio, la cui setta andò perfino al tempo di Sodoma e Gomorra.

Per questo peccato convien che il mondo sia distrutto per via di fuoco, perchè in altra forma non si potrebbe purgare, conciossiachè la frigidezza non abbia più di quattro gradi di freddura, e il fuoco cinque ne abbia di caldezza; e fu per quel minor grado che Noè campò nell’arca; ma nel dì del giudizio l’acqua distruggerà tutto il fuoco, e non rimarrà nessuna cosa sopra la terra.

  1. Pacifero non sa se maschio o femmina egli sia, e dalle guide sel fe’ dichiarare.

         «Al Meschin, che l’intese s’invermiglia
    La faccia d’onestissima vergogna,
    E disse, alzando verso lui le ciglia:
    Io maschio son, poi che dirtel bisogna.
    Il re di sua beltà si maraviglia,
    E già di brutto vizio seco agogna
    Di tentare il Meschino, e nel palagio
    Stanza fe’ dargli, ove stesse con agio.
         E poi la sera vuolse, ch’egli andasse
    A cena seco ecc. . . . . . . . . .
    Ma quel lussurioso ed indiscreto,
    Senza aspettar, che più il Meschin cenasse,
    Per man il piglia, e con atto inquieto
    Lo sfrenato desir gli fa palese,
    Onde il Meschin di collera s’accese».

    Pacifero allora promette di non far più di simili atti, ma se ne vendica facendogli sposare per forza una sua figliuola. A questo modo racconta quest’avventura la gentilissima nostra Tullia d’Aragona che sparse il suo poema di sì bei colori, di così vaghe tinte, e di tanta verità, che in certi punti la diresti non inferiore al Furioso dell’Ariosto. Ne riprodurremo di tanto in tanto qualche framento per far conoscere il merito di questa insigne sacerdotessa delle muse, che a’ molti suoi versi volle unire un poema tolto dai più vantati romanzi della cavalleria, e che per lo stile e per la tessitura Crescimbeni paragona in qualche modo all’Odissea d’Omero.