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capitolo viii. 83

sarà lo stesso cavallo che tu hai sotto, l’altra la tua testa». Lalfamech adirato da queste parole, subito si drizzò sopra le staffe, chè egli cavalcava molto corto all’usanza di quel paese, e lanciogli la lancia che impugnava, credendo di passarlo. Ma il Meschino accorto toccò il cavallo cogli speroni, e lo mosse per modo che la lancia il fallì. Arrestò quindi la sua lancia1, e giunse Lalfamech sopra lo scudo, il quale però movendo dotta-

  1. Le lancie od aste (così il Ferrario) non avevano da principio resta a cagione che il pettorale usato in allora da’ cavalieri essendo di maglia, non si sarebbe saputo dove in essa fermarla. Non dovevano in ogni modo lasciare d’appoggiare il grosso capo o la testa dell’arcion della sella de’ loro cavalli, che a quest’effetto altresì eran ben coperti di ferro. Il giaco essendo dunque di maglia, e la lancia nel porla in resta sdrucciolando sulla gambiera o cosciale, si prese l’espediente di far le corazze di piastre di ferro, in luogo di cuoio cotto, nel che consistevano da principio, e queste piastre avevano delle reste d’un grosso ferro formate attaccato al corpo della corazza per aiutare il cavaliere a drizzarla, e ad arrestar fermo il colpo della lancia, la quale non avendo ancora in que’ tempi impugnatura, ma eguale dalla cima al fondo serbandosi, cadeva agevolmente dopo il colpo dalle mani di coloro che non erano a sufficienza nerboruti e forti per ritenerlo dopo il grand’urto. La resta dei primi tempi non era adunque quel grosso ferro annesso alla corazza, che venne tosto in uso dopo il 1300, allorchè i cavalieri cominciarono a portare corazza, bracciali, cosciali e manopole; ma bensì l’arcion della sella, al quale dovevano certamente appoggiare il capo della lancia, che sdrucciolato sarebbe se fosse stata appoggiata al giaco di maglia. Arresto di lancia si chiamava ancora quel picciolo fodero di cuoio che serviva a loro volta a sostenere le lancie. Così il Boiardo fa menzione della resta nel descrivere il combattimento fra Sacripante ed Agricane: lib. I. cant. XI.

         L’un l’altro in fronte all’elmo s’è percosso
    Con quelle lancie grosse e smisurate,
    Nè alcun per questo s’è dall’arcion mosso.
    L’aste fino alle resta han fracassate
    Benchè tre palmi ciascun tronco è grosso.
    Volgonsi e già le spade hanno afferrate,
    E furïosi tornansi a ferire
    Chè ciascun vuole o vincere o morire.

    e l’Ariosto nel suo Furioso al canto XXX.

         Posti lor furo ed allacciati in testa
    I lucidi elmi, e date lor le lance.
    Segue la tromba a dare il segno presta,
    Che fece a mille impallidir le guance.
    Posero l’aste i cavalieri in resta,
    E i corridori punsero a le pance
    E venner con tale impeto a ferirsi,
    Che parve il ciel cader, la terra aprirsi.