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per mare e per terra a fine d’onore. Così tra noi due ci diemmo la fede fino alla morte di mai non abbandonarci l’un l’altro. Per questo motivo si partì per andare alla ventura, e cercammo prima Inghilterra, Irlanda, Nortlandia e la Scozia, vedemmo poi la Fiandra, Frigia bassa ed alta, Ungaria, Boemia, e la bella Italia, colla Corsica, Sardegna, Majorica e Sicilia. Venuti a Brindisi passammo a Durazzo, di là volgemmo alla Dalmazia, Croazia, Albania, e cercammo l’Epiro, la Macedonia, e tutta la Morea e Grecia. Tornando in Tessaglia, si scorse tutta la Romania perfino a Costantinopoli, e di là andammo alla Tana per terra, e venimmo a Colchi. Abbiamo trovata l’Armenia, e quindi stavamo per andare nella bassa Tartaria, quando, veduto il mar Caspio, giungemmo a questo fiume. Erano già scorsi due giorni che noi eravamo venuti su per lo fiume, quando quel tristo gigante incontrossi in noi. Ci guatò con occhi di fuoco, battè i denti e c’assalì. Al primo colpo prese il mio compagno e me. Il mio compagno strozzò, e me mise in questa grotta, nella quale sono stato diciotto dì, fino al momento, che il cielo ti mandò in mia liberazione». Il Meschino, che aveva ascoltato con molto sentimento tutta quest’istoria, confortò messer Brandisio, dicendogli: «Per mia fe’ tu sarai per l’avvenire mio compagno, se lo ti sarà in grado». Messer Brandisio lo ringraziò di questa cortesia, ed accettollo per signore, non per compagno.

Subito dopo il Meschino si rivolse all’Armeno, interrogandolo anche de’ suoi casi, e gli fe’ da principio la solita domanda. «Gentiluomo di donde siete voi?»

L’Armeno rispose in questo modo: «Io sono d’Armenia e cristiano.

Ha pochi giorni che venni d’Armenia con un mio compagno, ed andavamo in Tartaria bassa per visitar certi dell’Ordine nostro. Ma per ciò passando in Albania a vedere que’ nostri fratelli, e volendo seguitare il viaggio, non ci fu concesso passare il fiume pel gelo. Allora venimmo verso il mare, ed erano tre giornate che

    ciascun anno e preso dalla nobiltà. Il Principe d’amore, e dopo lui il suo luogotenente, soleva imporre un’ammenda chiamata Pelote a tutti que’ cavalieri che avessero fatto l’affronto alle damigelle di sposare una straniera, e a tutte quelle damigelle che con uno straniero maritate si fossero.
    Nota che a queste feste intervenivano molti cavalieri, i quali per ottenere amore o gloria, si vantavano di grandi imprese, e quelle dovevano condurre a fine, donde poi quelle mille avventure di erranti paladini.