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atto quarto. | 77 |
- REGINA.
- Con qual gioia essi si avventano sopra un’orma bugiarda! Oh perfidi Danesi, è falsa la via che seguite.1
- RE.
- Abbattono le porte. (Rumore di dentro.)
Entra Laerte armato con seguito di Danesi.
- LAERTE.
- Dov’è il re? — Amici, state tutti al di fuori.
- DANESI.
- No, lasciateci entrare.
- LAERTE.
- Ve ne prego, concedetemi ciò.
- DANESI.
- Ebbene sia. (Si ritirano fuori della porta.)
- LAERTE.
- Vi ringrazio.... custodite l’entrata. — Oh tu, re vile, rendimi mio padre.
- REGINA.
- Calma, buon Laerte.
- LAERTE.
- Se avessi una sola goccia di sangue che fosse in calma, essa rivelerebbe in me un figlio bastardo, svergognerebbe il talamo di mio padre, e stamperebbe l’infamia sulla fronte onorata della mia genitrice.
- RE.
- Da che procede, Laerte, tanta rivolta? Lascialo, Gertrude; non temere per la nostra persona; vi è tale divinità a custodia dei re, che il tradimento non può che accennare a quel che vorrebbe, e scornato rimane nella esecuzione.... Dimmi, Laerte, perché così infellonito?... Lascialo, Gertrude..... E tu, parla.
- LAERTE.
- Dov’è mio padre?
- RE.
- È morto.
- REGINA.
- Ma non da lui.
- RE.
- Lascia ch’ei tutto dimandi.
- LAERTE.
- Come morì egli? Non soffrirò d’essere ingannato. All’inferno la sudditanza! Al più nero dei demoni la fede giurata! Al più profondo abisso la coscienza e la grazia! Sfido la dannazione, rinunzio a questo e all’altro mondo: avvenga quel che vorrà, in questo punto solo sto saldo che vuo’ fare una vendetta orrenda della morte di mio padre.
- RE.
- Chi vi ratterrà?
- LAERTE.
- La mia volontà, non l’universo; e quanto ai miei mezzi li temprerò per guisa che farò molto con poco.
- RE.
- Buon Laerte, se desiderate di conoscere la verità sulla morte del vostro caro padre, dovrà per questo la vostra vendetta abbattere del pari l’amico e il nemico, l’innocente e il colpevole?2
- LAERTE.
- Niuno fuori de’ suoi nemici,
- RE.
- Li volete allora conoscere?