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atto secondo. | 37 |
- POLONIO.
- Allorchè ci sarà, manderò qui da lui mia figlia; noi ci nasconderemo dietro un arazzo, e udiremo quello che accade. Se egli non l’ama, e, se non è per questo motivo che ha smarrito l’intelletto, ch’io non assista più ai consigli di Stato, e sia rilegato invece a dirigere una cascina e dei pecorai.1
- RE.
- Faremo la prova.
Entra Amleto leggendo.
- REGINA.
- Guardate con quanta tristezza l’infelice si avanza leggendo.
- POLONIO.
- Uscite, ve ne prego, uscite entrambi; io gli parlerò subito... Oh! lasciatemi fare... (Escono il re, la regina e il seguito.) Come sta il mio buon principe Amleto?
- AMLETO.
- Bene, la Dio mercè.
- POLONIO.
- Mi conoscete, signore?
- AMLETO.
- Perfettamente; siete un pescivendolo.
- POLONIO.
- Non io, mio signore.
- AMLETO.
- Allora vorrei che foste un uomo tanto onesto.
- POLONIO.
- Onesto, signore?
- AMLETO.
- Sì, amico; essere onesto. alla maniera che va questo mondo, egli è essere un uomo cappato fra due mila.
- POLONIO.
- Ciò è verissimo, signore.
- AMLETO.
- Perocchè se il solo fa pullulare i vermi in un cane morto, ed essendo un bene si accoppia ad un cadavere... Avete una figlia?
- POLONIO.
- Sì, mio signore.
- AMLETO.
- Non la lasciate passeggiare al sole; il concepire è una beatitudine, ma non nel modo che potrebbe concepire vostra figlia... Amico, siate attento.
- POLONIO.
- Che volete voi dire? (A parte.) È sempre col pensiero a mia figlia; nullameno in principio non mi conobbe, mi crede un pescivendolo. Egli è molto giù, molto giù; e in verità, da giovine ebbi anch’io grandi peripezie per l’amore; mi ridussi quasi anch’io ad uno stato uguale. Tornerò a parlargli. — Che cosa leggete, signore?
- AMLETO.
- Parole, parole, parole!
- POLONIO.
- Di che si tratta, signore?
- AMLETO.
- Fra chi?
- POLONIO.
- Intendo di che si tratta in quello che leggete, signore.
- AMLETO.
Calunnie, amico; perocchè questo vil satiro di scrittore, dice qui che i vecchi hanno la barba grigia,
- ↑ Carrettieri