letto divino, e sfogherebbe i suoi più turpi appetiti. — Ma sta e’ parmi sentir l’aria del mattino; precipito il racconto. — Addormentato nel mio giardino, secondo il costume che ne avevo, nelle ore meridiane, giovandosi della mia sicurezza, tuo zio venne furtivo presso di me con una fiala di iosciamo,
1 ch’ei mi versò in un orecchio. Quel liquore fatale è così nemico dell’uomo, che, rapido come il mercurio, invade tutti i canali del corpo, e fa ristagnare il sangue più puro come una goccia d’acido nel latte. Questo avvenne per me, che da una lebbra istantanea mi trovai avvolto, e vidi coprirsi la mia fina pelle di una squama fetida ed infetta. Così dormendo, mi fu tolto dalla mano di un fratello la vita, la sposa o la corona; così fui ucciso in mezzo ai miei peccati, senza apparecchi, senza gli ultimi conforti della religione, senza aver dato assetto ai conti della mia coscienza, e fui costretto a comparire davanti al mio Giudice carico di tutto il peso delle mie infermità. Oh orribile! orribile! orribile! se è in te un po’ di cuore, non sopportarlo; non tollerare che il real letto di Danimarca sia fatto segno di lussuria e di un infame incesto. Ma comunque tu adoperi per vendicarmi, serba intera la mente e non macchinar nulla contro tua madre; lei lascia al Cielo e a quei rimorsi che già le straziano il petto. Addio. Il verme lucente, il cui fuoco inoffensivo
2 comincia a impallidire, annunzia l’appressarsi del dì. Addio, addio, Amleto! ricòrdati di me. (
Esce.)