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Scena Seconda. 51

Disimpari il rispetto, osi, domandi,
Solleciti, importuni, al fine involi:
E, se questo non basta, anco rapisca.
Hor, non sai tu, com’è fatta la donna?
Fugge, e fuggendo vuol, che altri la giunga;
Niega, e negando vuol, ch’altri si toglia;
Pugna, e pugnando vuol, ch’altri la vinca.
Vè, Tirsi, io parlo teco in confidenza;
Non ridir, ch’io ciò dica. e sovra tutto
Non parlo in rime. tu sai, s’io saprei
Renderti poi per versi altro, che versi.

Tirsi
Non hai cagion di sospettar, ch’io dica

Cosa giamai, che sia contra tuo grado.
Ma ti prego, ò mia Dafne, per la dolce
Memoria di tua fresca giovanezza,
Che tu m’aiti ad aitar Aminta,
Miserel, che si muore. Dafne O che gentile
Scongiuro hà ritrovato questo sciocco
Di rammentarmi la mia giovanezza,
Il ben passato, e la presente noia.
Ma, che vuoi tu, ch’io faccia? Tirsi A te non manca
Né saper, né consiglio. basta sol, che
Ti disponga à voler. Dafne Hor sù, dirotti,
Debbiamo in breve andare Silvia, et io
Al fonte, che s’appella di Diana,
Là dove à le dolci acque fa dolc’ombra
Quel Platano, ch’invita al fresco seggio
Le Ninfe cacciatrici. ivi sò certo,
Che tufferà le belle membra ignude.

Tirsi
Ma, che però? Dafne Ma, che però? Da poco

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