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28 | Atto Primo. |
E’ scritto, Lungi, ah lungi ite, profani.
Diceva egli, e diceva, che glie ’l disse
Quel grande, che cantò l’armi, e gli amori,
Ch’à lui lasciò la fistola morendo,
Che la giù ne lo ’nferno è un nero speco,
Là dove essala un fumo pien di puzza
Da le triste fornaci d’Acheronte;
E che quivi punite eternamente
In tormenti di tenebre, e di pianto
Son le femine ingrate, e sconoscenti.
Quivi aspetta, ch’albergo s’apparecchi
A la tua feritate;
E dritto è ben, ch’il fumo
Tragga mai sempre il pianto da quegli occhi,
Onde trarlo giamai
Non poté la pietate.
Segui, segui tuo stile,
Ostinata che sei.
- Silvia
- Ma, che fè allhor Licori? e com’ rispose
A queste cose?
- Dafne
- Tu de’ fatti propri
Nulla ti curi, e vuoi saper gli altrui.
Con gli occhi gli rispose.
- Silvia
- Come risponder sol puote con gli occhi?
- Dafne
- Risposer questi con dolce sorriso,
Volti ad Elpino, Il core, e noi siam tuoi,
Tu bramar più non dei. Costei non puote
Più darti, e tanto solo basterebbe
Per intiera mercede al casto amante,
Se stimasse veraci, come belli,
Quegli occhi, e lor prestasse intera fede,
Sil. E, |