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tissimi, ed a sinistra scende un abisso rapidissimo e coperto di neve. Pazienza poi si avesse potuto marciare orizzontalmente, ma la cresta è munita come di enormi denti di sega che convien salire e discendere colla massima delle precauzioni e senza che si possa vedere ove posano i piedi... Ma le guide vedevano per noi e da un sasso all’altro scendemmo fino al fondo in un’ora circa. E si cominciò a dar la scalata all’ultima parte della piramide. In poco tempo siamo al Col Félicité.

Il 13 settembre 1867, sarà per le guide di Valtournanche e pel Cervino un giorno memorabile quasi altrettanto come quello della prima salita del Whymper dalla parte di Zermatt, ma certo meno deplorabile e parimenti emulerà la fama del giorno (16 luglio 1865) in cui G. A. Carrel, abate Amato Gozzet, Bich G. B. ed Agostino Meynet1 piantavano il primo vessillo italiano sul (come lo chiama il Can. Carrel) Malakoff delle Alpi. In quel giorno una carovana composta delle guide fratelli Giuseppe, Gian Pietro e Vittorio Maqnignaz, Cesare Carrel, Giovan Battista Carrel, partita la veglia dal Giomein e passata la notte alla Capanna, tirò diritto alla punta del Cervino per istudiare una nuova strada più diritta e più breve.

Alla carovana si era aggiunta un’animosa donzella, figlia della guida Gian Giacomo Carrel e dell’età di 18 anni. — Partiti tutti — meno G. B. Carrel — alle 7 del mattino del 13, arrivarono felicemente ad una specie di colle ai piedi dell’ultimo punto culminante. L’intrepida Félicité aveva condiviso, con energia e forza straordinaria, le fatiche ed i pericoli degli altri ed è per ricordare un tal fatto che il signor Leighton Jordan, inglese, nomò quel colle Félicité — e qui tutti si fermarono, ma i due fratelli Giuseppe e Pietro Maquignaz a scopo di studiare un nuovo passo avanzarono, e seguendo la faccia meridionale prossima alla cresta, trovarono un passaggio ben più breve dell’antico che li condusse alla cima. E tosto, pieni di giubilo per la vittoria ottenuta, facevano sventolare attaccata ad un bastone la bandiera bianca e rossa e poi scendevano ad invitare i compagni a percorrere l’istessa via. Ma questi ridiscesero poiché si faceva tardi ed il vento infuriava. Di tale patriottica ascensione che ci insegnò una strada più breve, più sicura e più facile si deve conservare lunga memoria.

Dal Colle alla sommità, è duopo imprendere un serio esercizio ginnastico. Un funambolo che potesse offrire tale spettacolo al colto ed all’inclita farebbe certo furore e danari a sacchi. Si incomincia a percorrere una roccia quasi verticale e poi si raggiunge una corda fissa. E questa che conduce alla temuta scala composta da sette ad otto piuoli rattenuti da nodi fatti su una robusta corda. Un tale aiuto grandissimo alla salita del Cervino, noi lo dobbiamo ad un inglese, al signor Leighton-Jordan che fece preparare in Inghilterra il materiale della scala di cui commise la costruzione al bravissimo nostro Giuseppe Maquignaz. Un’altro inglese poi, il celebre Heathcote, pagò la spesa necessaria per il collocamento. Prima di mettere il piede sul primo gradino ci guardammo bene in faccia e poi d’uno sguardo abbracciamo e la roccia che ci stava sul capo ed il precipizio di almeno 2000 metri che ci si apriva ai piedi; indi ci ponemmo all’opera. L’uno dopo l’altro ci arrampicammo al primo gradino e lentamente — sorreggendoci a vicenda — superammo la scala del Cervino. Chi più di tutti trepidò fu, questa volta, il nostro Luc. Il primo piuolo della scala dista assai dalla piccola sporgenza di roccia su cui sostammo, quindi bisogna portarsi a forza di braccia e di gambe sul primo gradino. Pel povero Luc — colle sue gambe piccine, col suo corpo

  1. Sulla sommità non giunsero che il Carrel ed il Bich.