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gran corda aveva costato a noi fatica e pericolo — ma — al mio povero barometro — aveva portato la morte : immatura mors. 11 tubo — scosso, sbattuto, violentato da qualche urto non troppo delicato — s'era diviso ed il mercurio, seguendo la tendenza del suo peso specifico, s'era precipitato al basso, parte nel serbatojo e parte in fondo all'astuccio. Che farci? Trassi un gran sospirone dal cuore, pensai all'illustre padre Denza che s'era impegnato ad osservare contemporaneamente a me, e rimesso il morto nella sua cassa, lo adagiai in comodo luogo, al riparo dei venti, lo caricai di due pietre perchè nulla valesse a smuoverlo dalla sua posizione, gli dissi « arrivederci > ed indirizzai i miei passi dietro a quelli della carovana — chè la corda mi trascinava a sé. Il sentiero che tenemmo, superata la Gran Corda, somiglia in tutto e per tutto ad una sega dai denti enormi ed accuminati. Qualche altro alpinista, o le guide stesse, trovarono in vederlo ed in percorrerlo che rassomigliava invece ad una cresta di Gallo e lo battezzavano con tal nome (Crete du Coq). La differenza poi — a quanto pare — non è troppa ed è questione d'intendersi. Osservo però a titolo d'amenità, che se la cresta è voluminosa, il resto del Gallo mostrasi assai spennacchiato e magro ...

La sega, o la cresta del Gallo ci condussero diritto diritto alla Cravatta (4422). Perchè si diede un tal nome a questa parte del Monte Cervino? — Certo per la fascia di neve e ghiaccio perpetua che la cinge ed è messa in singolare risalto dalle nerissime roccie che la toccano. — Non posso però far a meno di ripetere una giustissima osservazione dell' ingegnere Giordano. Al Cervino si attribuisce — e non senza ragione — la forma di un uomo; se è cosi, siccome più sopra alla Cravatta hanno posto la spalla (l'èpaule) io vedo in questo fatto un controsenso sì materiale da doverlo distruggere — mutando il nome di Cravatta in quello appropriatissimo di Cintura. - E così credo la pensino tutti coloro che .. la pensano come me ...

Noto che il sole, i nostri oriuoli ed anche un po' i nostri stomachi, segnavano il meriggio quando toccammo la Cintura e noto pure che là si trova una piccola spianata fatta apposta per invitare lo stanco ed affamato alpinista ad un po' di riposo e ad umile refezione. — Ci sedemmo quindi in cerca dell'uno ed in prospettiva dell'altra.

Permettasi quindi che, fra un boccone e l'altro, dia altre notizie riguardanti la nostra carovana. Benché dalla descrizione di qualche passaggio siasi già potuto capire l'ordine con cui eravamo l'uno all'altro legali, pure faccio una ripetizione per maggiore chiarezza. Erano davanti Carrel e Maquignaz Joseph; Santelli — seguito Jean Pierre — veniva dopo, e le guide tutte erano seriamente occupate del nostro ingegnere, che, non ostante il coraggio e la volontà sua, sentiva tremarsi le gambe e tentennare il capo, ma pur sempre saliva. Dopo Jean Pierre veniva io ; mi seguiva il servo del Santelli, Dumini, e formava l'estremità della corda, il volonteroso ed entusiasta Meynet Luc che faceva sforzi erculei per camminar sempre onde giungere, finalmente a toccare l'agognata felicità, il vertice del terribile Cervino. A dire il vero, io non m'era mai sentito cosi bene in gambe ed in forze come allora e faceva miracoli di potenza, di equilibrio, di snellezza di nervi, e di robustezza di gambe e braccia. Le tre guide quindi, osservando le ottime mie disposizioni, credettero non dover più occuparsi di me. Io invece mi sentii in obbligo di occuparmi di chi mi seguiva e, orgoglioso, fermo ed attento, impresi a compiere le mie nuove funzioni di guida onoraria. Se della fiducia di cui mi colmarono le ottime mie guide, io vado altamente superbo, se lo immaginino i miei giovani colleglli in Alpinismo.

Ma non eravamo punto al fine del nostro viaggio e molti pericoli ci attendevano ancora.