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mano, e da esso le acuminate vette si elevano come isolette natanti. Son le 9 e 40. II Mon Viso là in fondo colla sua elegantissima guglia tagliata e sollevata dalle nubi — è proprio stupendo! I Diablerets sono a destra, davanti si eleva la Dent d’Hérin, a sinistra il Plateau Rosaz ... e le nubi salgono sempre. — Guai se ci molestano! La Tour viene di li a poco. — È una vera torre imponente del Medio Evo con forma ora quadrala — or ottagona — ed ora ovale; — la compongono massi neri e giganteschi tra cui fanno capolino enormi feritoie. È ai piedi di questa Torre che io vorrei si erigesse una capanna in muratura o se ne postasse una in legno, sul modello di quelle che si collocarono a’ piedi del Bianco e del Rosa. Niun luogo si presenta meglio di questo per posizione, formando esso un piccolo piano protetto intieramente dalla mole della Torre, dimodoché né i venti, né le valanghe, potrebbero minacciare il viaggiatore alpino che là si ricoverasse. In un giorno, di lì, si potrebbe salire la superba vetta e ritornarvi comodamente, od anche scendere al Breil. Oltre a ciò, esposto — questo piano — al mezzogiorno, fruisce del sole, dal suo nascere al suo tramontare, ed il sentiero che trae al Cervino gli passa proprio da canto. Comodità tutte, che non si possono avere nella capanna eretta sulla Cintura o Cravatta — come si vedrà. Superando i degrés de la Tour — veri gradini scavati nel masso — in capo ai quali sono fissate due corde piccole e deboli, — e passando fra due pareti verticali si giunge, senza troppa fatica, al Vallon des Glacons — così chiamato perchè dei ghiaccioli ivi se ne trovano sempre ed è ben difficile che l’estivo calore li faccia tutti scomparire, anzi ne crea in maggior numero col far fondere le nevi. Noi ne troviamo molti e molto grossi da cui il sole fa sgocciolare poche stille, che raccolte con pazienza in un botticino, ci confortano molto e certo assai più che la neve la quale troppo raffredda lo stomaco ed eccita il mal di ventre. — Il Vallone dei Ghiaccioli è presto passato e ricomincia l’arduo lavoro dell’arrampicarsi sulla roccia. — II peggio vien dopo nell’essere costretti ad attraversare la roccia che alcune volte è concavoconvessa, colla testa tutt’altro che perpendicolare ai piedi, i quali, posando su una piccola sporgenza, giuocano a gatta cieca ed avanzano a casaccio mentre la testa — squilibrata col corpo — pende sul precipizio. Per fortuna che v’è là una corda forte la quale offre un aiuto possente! E non si creda che ci siamo su questo infido passaggio, spinti tutti e sette in fila, no ... che — adagio, adagio — s’avanza cautamente una guida e trascina lentamente l’ingegnere, seguito da un’altra guida che l’un dopo l’altro gli posa i piedi sul sicuro, e poi, quando i tre sono fuor di pericolo, avanzano gli altri coll’istesso metodo. E qui si prova una delle mille ed una emozioni che offre ai suoi salitoli il superbamente duro Monte Cervino!

Eccoci alle Gite Giordano ove, il valente alpinista e dotto geologo, nell’estate del 4866, sorpreso da perfido tempo dovette arrestare il suo passo tendente alla vetta del Cervino, che, come Mosé, vedeva sempre qual terra promessa ma che, novello Mosè, mai non poteva raggiungere1. Il ricovero offre uno spazio abbastanza riparato dai venti, ma a ripararlo viemaggiormente, le guide del Giordano eressero un piccolo muro. Che notte deve essere stata quella!

Silenzio ed attenti! Ecco un altro dei tanti Cerberi posti da Plutone-Cervino a sue guardie. É il mauvais pas ... brullo passo certo di nome e di fatto. Ci si presenta una roccia tagliata a picco da tutte le parti ... Ma come si fa a procedere olire — se essa sif-


  1. L’ing. Comm. Giordano riuscì finalmente nella salita del Cervino, il 4 cettembre 1 868 e pubblicò una dottissima monografia del superbo colosso.