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L’APPENNINO


uat.che lettore, benigno sempre, ma suscettibile per l’amor proprio offeso, arriccierà il naso vedendo il titolo della cicalata che gli si vuol imbandire, e dirà seco stesso: ma che diavolo vien in mente al signor articolista? Ci piglia forse per idioti o Tonchinesi, e non già per buoni ed istruiti cittadini d’Italia, come crediamo d’esserlo? È un capitolo di sbiadita geografia che vuol farci ingojare? Ma se la si trova su cento testi! Il povero sottoscritto, confuso sulle prime per i rimbrotti che gli pioveranno, giusti a prima vista, prende animo e si trova costretto a rispondere delle cose non belle, ma che per ciò non cessano pur troppo d’esser vere. Sicuro, anch’io, al pari delle lettrici gentili e dei lettori, forse pochini ora, ma buoni come i versi del Torti, ho studiato alle scuole primarie e secondarie le generalità sull’Appennino, sue dimensioni, altitudine, valli principali, ecc.: ma quanti, presi anche fra i più valenti e colti professionisti, sono andati più in là? Ci sarebbe da arrossire a contarli. Per constatare la nostra generale trascuratezza nello studio dei patrii monti, basti citar un fatto, risguardante le Alpi, che pur sono assai più interessanti, e che cingono le regioni dell’Alta Italia, da tempo assai più avanzate relativamente nell’istruzione. Se togliamo infatti la buona, ma un po’ antica opera del Marchese di Saluzzo Sulle Alpi che cingono l’Italia (1845), che cosa s’è scritto da noi sulle Alpi, nostre per metà? Nulla o quasi, se togliamo le descrizioni e monografie contenute nei bollettini del Club Alpino. Che cosa possiamo contrapporre alle magnifiche opere dei fratelli Schlaginweit, di Tschudi, di Berlepsch, di Agassiz, di Dollfus, alla bellissima raccolta Les Alpes Suisses, ecc.? I lontani Inglesi ci superano nello studio, nel culto delle nostre vette! E dall’Alpi scendendo al più modesto, ma pur sempre interessante e tutto nostro Appennino, che cosa fu scritto dagli Italiani di completo, di serio e scientifico sulla gran vertebra della patria ■ penisola? Sentite che cosa rispondeva l’Amati nella sua corografia d’Italia diciott’anni fa: «Oltre le opere generali sull’Italia, e «sulle sue regioni, e le brevi memorie da noi citate nel nostro articolo, non sappiamo «. indicar allo studioso alcuna importante monografia sull’Appennino. È una deplorabile lacuna, «che almeno in parte verrà riempiuta dai trattati che accompagnano questa Corografia.»