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li nomini ad æternam rei memoriam. Erano sei e tutti baldi e tutti allegri — v’era il comandante del battaglione, (compagnia di Oulx, Susa e Fenestrelle) maggiore cavaliere Ferdinando Ramonda — capitano Perron — Calabres Antonio, comandante la sesta di Oulx — capitano cavaliere Sommati di Mombello, — comandante la 7.ª; il sottotenente Fermo — quel dalle livellazioni — e due altri — il cui nome sfuggì al mio taccuino. Avevamo per satelliti otto soldati della compagnia di Susa con tanto di penne d’aquila sul cappello i quali avendo compiuto l’attendamento, eransi posti dietro a noi in attitudine di aspettar ordini. — «Piantate la sentinella» disse il capitano di Susa e i soldati si slanciarono — in uno — a cercare un palo che coronarono con una lanterna accesa e rizzarono all’entrata del campo.

— E il capitano Perron-Cabus, appoggiò a questa illuminata sentinella la spada e le carte topografiche affidando ad essa sicuramente, l’incarico di vegliare su ogni possibile nemico.

Finalmente un urrah generale di gioia scoppiò — nel campo — verso le 10. Arrivava il mulo delle provvigioni e quello del vino. Tutti si drizzarono per accogliere coi dovuti onori le nobili bestie apportatrici d’un ristoro, ahi! troppo desiderato... Fu una distruzione da non dirsi e tutti intenti a divorare ed a bere, schierati bizzarramente intorno all’immenso braciere — sopraccarico sempre di fascine in fiamme — creammo uno spettacolo che solo il pennello di Salvator Rosa, avrebbe potuto rappresentare con verità.

Gigantesche fiamme s’elevano al cielo che sembrava imporporarsi. Queste fiamme danzavano capricciosamente in balia del vento ed i riflessi ardenti d’un chiarore rossastro sanguigno, si stendevano a noi dintorno — ora collo splendore acciecante del lampo, ora con tinte rossastre, sicché avresti creduto che le impetuose onde d’un mare di fuoco invadessero il piano. Ad ogni fiammata si vedeva come una truppa di demoni, agitarsi attorno al fuoco. Alcune volte, altri più demoni ancora, spiccavano — attraverso alle fiamme — orribili salti e scuotendo l’aria ravvivavano le ardenti scintille. Erano i più affamati che — distrutta la prima porzione ne cercavano un’altra; erano gli assetati che andavano a porgere le vuote scodelle di legno al generoso zampillo del bariletto di Chaumont. E di tanto in tanto, ombre nere su fondo rosso andavano e venivano gettando nuove fascine sul focolare e con bastoni ravvivavano l’incendio. Allora sollevavansi al cielo dal braciere, crepitando, colonne di ardenti scintille, che si sparpagliavano attorno all’accampamento come un immenso fuoco d’artificio. E fra il crepitare dei rami di pino s’elevavano le voci nostre, intese a bestemmiare i più bei pezzi d’opera avvicendati dalle più popolari nostre canzoni.

Più lungi l’amico Isaia aggiungeva luce alla luce, ma la sua era luce quasi elettrica tanto sfavillava sprigionandosi da una piccola macchinetta. E quella vivissima luce di magnesio, lasciava, spegnendosi, una oscurità sempre maggiore ed allora cresceva l’effetto delle fiamme.

Durante i riposi del canto, l’avv. Spanna inneggiava l’unione a 1400 metri dal livello del mare di tanti bravi militari, di tanti Susini e dei r appresentanti delle varie sezioni del Club Alpino Italiano fra cui s’estolleva la personalità del simpaticissimo rappresentante della Società Alpina d’Arco nel Trentino, il bravissimo Baratieri.

Intanto erano arrivali alcuni ritardatari affamati fra cui il fotografo Berrà di Torino con un mulo carico dei suoi appaiati, il geometra Jean ed il parroco di Chiomonte sig. M. B. Questi ultimi portavano un rinforzo di vino e furono acclamati con un entusiasmo indescri-