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il forte di fenestrelle 81

trosi: tutto grigio, freddo, arcigno, spaurevole. — Si vede che nulla di tutto questo, diceva il Giacosa, è stato costrutto con un’intenzione benevola. — Entrati, vedemmo di sfuggita il quartiere degli ufficiali, la cappella, l’ospedale, le prigioni, la casa del Governatore, un gruppo di edifizi di malumore, che ci guardarono poco benignamente a traverso alle palpebre socchiuse delle loro finestre; e ci disponemmo a far l’ascensione della formidabile scala di quattromila scalini, intagliata nella roccia, e coperta da una vòlta a prova di bomba, che va su dal forte di San Carlo fino alla cima del monte. Un simpatico sergente d’artiglieria, che l’ottimo Comandante ci diede per scorta, mosso a pietà delle nostre gravi persone, ci domandò cortesemente se volevamo salire per la scala coperta, o per la via esterna, che è meno faticosa. Ma noi rispondemmo con l’incauta baldanza di chi s’è levato allora da tavola: — Per la scala coperta. — Sta bene, rispose il sergente, con un certo risolino che voleva dire: — Se n’accorgeranno a suo tempo; — e infilò un androne oscuro, facendoci cenno di tenergli dietro.



Salimmo una prima scala di pietra, col passo allegro di chi va su a un terzo piano, a fare una visita galante. — Arriveremo in cima senza avvedercene, dicevamo. — Ma quando a quella prima scala succedette la seconda, e a

De Amicis. Alle Porte d'Italia. 6