piccicano una data a ogni albero e un nome a ogni sasso. E poi la valle del Chisone è così bella in quel tratto. Passato Pinasca, si ristringe, si infosca, alza da una parte dei grandi macigni nerastri, strisciati di licheni, e piglia quell’aspetto particolare di tristezza delle valli anguste e quiete, dove sembra che la natura prepari in silenzio qualche sorpresa; e i viaggiatori si raccolgono e tacciono senz’avvedersene, guardando davanti a sè, con un sentimento vago di aspettazione. La sorpresa è là vicina, in fatti. La valle si riapre a poco a poco, la vegetazione s’addensa, poggi ameni si elevano, le case spesseggiano, sbucan ragazzi da ogni parte, ed ecco un’ampia conca, circondata di rocce ardite e di coltivazioni ridenti, popolata di opifici, di giardinetti e di ville, nella quale biancheggia e fuma Perosa; e là in fondo, si schiude da una parte la valle profonda di Fenestrelle, e dall’altra la valle solitaria di San Martino, guardata all’imboccatura dal villaggio di Pomaretto, che pare un mucchio di case ruzzolate giù dalle alture. Oh, il bel luogo fresco e gentile per venirci a nascondere un amore o a ponzare un romanzo! Un rincon de paraiso entre los Alpes, dice un poeta spagnuolo che vi combattè co’ suoi connazionali nel 1693. Qui ci avevano un castello di confine i principi d’Acaja. Qui passarono, s’accamparono, e scaramucciarono cento eserciti, dai romani della repubblica ai francesi dell’impero. Qui si fabbricano dei dolci liquori, delle buone sete, delle belle ragazze, dei saldi soldati. — Animo, sforniamo un sonetto, mentre i cavalli