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il forte di santa brigida | 69 |
chiusa ai profani, la quale appartenga tutta a un convento. Era una bella sera di domenica. Si vedeva tutt’intorno quella vasta pace sorridente dei dì di festa, che s’indovina, in campagna, anche quando non si mostra per alcun segno visibile. Sotto i pergolati delle ville passeggiavano coppie di signore a braccetto; dalle casette lungo la strada uscivano suoni di bicchieri urtati e di voci allegre; incontravamo dei bimbi paffuti, delle belle ragazze e dei vecchi arzilli che ridevano. Quando tutt’a un tratto, vicino alla villa Vagnone, udimmo un canto graziosissimo di due voci di tenore, non educate, ma d’un metallo insolito da queste parti; e poco dopo vedemmo spuntare di fra gli alberi due soldati di cavalleria della Scuola, con le loro belle mostre color d’arancio.
— Non son mica piemontesi quei due soldati, — disse il De Beaulieu.
— Son romani, — risposi.
— Da che li riconoscete? — mi domandò curiosamente.
— Dalla pronunzia, dall’intonazione del canto, dalle parole stesse della canzone. E son romani di Roma, se non m’inganno.
— Soldati volontari, forse?
— Ma no; soldati di leva. Son più di dieci anni che abbiamo nell’esercito i soldati di Roma.
Si soffermò, e si voltò a guardar quei soldati. La mia risposta aveva riportato d’un colpo la sua immaginazione dal Piemonte di Vittorio Amedeo all’Italia con Roma capitale, e dietro a quei due giovani egli vedeva confusamente,