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contentato di accennare al Principe la strada sotterranea ancor libera, il fosso sgombro e la breccia richiusa, rispondendo rispettosamente: — Vostra Altezza vede. Un soldato d’onore non può ancora render la spada.

— Non poteva ispirare che una risposta nobile la parola del Principe Eugenio, — rispose il maggiore. Ah! l’Abatino! Egli l’ammirava con entusiasmo quella simpatica e strana figura, quell’eroe gobbetto, che non aveva mai lasciato vedere il suo scrigno ai nemici, piccolo, gracile, terribile, con quegli occhi da Napoleone del Meissonnier, chiari come due diamanti, con quel nasino voltato in su, con quella bocca sempre aperta come per esser più pronta a gettare il grido dell’assalto. Ci doveva mettere il diavolo in corpo ai suoi reggimenti quando passava di galoppo con la bella coccarda azzurra sulla corazza, e apostrofava i soldati in quattro lingue, dissimulando con un sorriso il tormento della sua vecchia ferita di Belgrado. Era una mirabile natura, audace, tenace, impetuosa, gioviale. Nulla lo definiva meglio della scommessa di cento doppie che aveva fatta la sera del primo sabato d’agosto con Vittorio Amedeo: di fargli sentir la messa nel forte di Santa Brigida all’alba del giorno dopo.



Arrivati sulla cima del monte, il maggiore De Beaulieu riconobbe il terreno con un’occhiata. — Qua eran piantate le batterie dei te-