signorina e l’esattore intorno alla “mitezza„ dei principi d’Acaja. L’esattore peraltro ci metteva una puntina di malignità, e faceva un po’ per chiasso. — Infine, saranno stati miti, diceva; ma fatto sta che nel registro dei loro conti c’è segnata di tratto in tratto una somma per l’acquisto d’una corda nuova, pro magna corda de nouo, che non serviva certamente a far all’altalena. Sì, perdonavano molti delitti.... per denaro. Ma quando i colpevoli erano spiantati, facevano torturare e impiccare de bon cuer, come scrive il mite Amedeo, con ortografia principesca. Uno aveva l’auriculam incisam, l’altro il naso deputatum, un terzo la fronte rabescata col ferro calido, un quarto, gli oculos decrepatos; una donna era combusta, nientemeno; un vecchio annegato come un cane; un altro rabellatus, trascinato alla forca per una corda attaccata alla coda d’un’asina comprata da un’ebrea. E per parua furta si contentavano di sbrindellare le cuoia a vergate. Le pare che sia mitezza, signorina? E quell’altra birbonata di tenere sepolti gli ostaggi in una torre, per anni e anni, dei poveri ragazzi astigiani, che ne uscivan mezzo morti? Perchè non facevano l’inferno per liberarli, quelle dolci principesse? — Ebbene, la signorina l’avrebbe fatto l’inferno, ne potevamo andar sicuri; ma quella di dar carico ai Principi dell’atrocità della giustizia punitiva, che era mostruosamente atroce da per tutto, in quel tempo, le faceva alzare le spalle (ammirabili). Conosceva anch’essa il famoso regesto, e sapeva che la mitezza degli Acaja si poteva dimostrare con altre prove. Bisognava