buon Marenco, per la piccola Cuniberti. Quale argomento più grazioso che le avventure di due sposi di sett’anni? Filippo forse non li aveva ancora quando suo padre Giacomo, collo scopo d’amicarsi il Conte di Ginevra, il quale, come tutore d’Amedeo VI, poteva giovargli presso la Corte di Savoia, concertò il matrimonio del principino con Maria, figliuola del Conte, nata da Matilde di Bologna. Sciolto il ragazzo, col consenso del papa, dai vincoli dell’autorità paterna e proclamato erede dei dominii di Giacomo, si stipulò il matrimonio in forma solenne, al cospetto di molti personaggi ecclesiastici e secolari, fissandosi una dote di quindicimila fiorini d’oro; alla quale parve che il fidanzato si mostrasse affatto indifferente. Le promesse vennero fatte nel 1346. L’anno seguente scese in Italia la sposa. Filippo aveva compito il settennio; la sposa poteva avere otto o dieci anni. Essa portava con sè uno scrigno pieno di gioielli, che suo padre affidò all’abate di San Michele della Chiusa, perchè lo rimettesse agli sposi quando il matrimonio fosse consumato, o lo restituisse alla famiglia quando il matrimonio andasse a monte. Gli sposini non essendo ancora in età di consumar altro che dei confetti, furono celebrati intanto gli sponsali; e la bimba rimase alla Corte degli Acaja ad aspettare gli anni dell’amore. Come avranno passato quel tempo i due ragazzi? Senza molta impazienza, si può credere. E nessuno gli avrà vigilati, di certo. Si saranno rincorsi mille volte per i viali di questo giardino. Essa avrà parlato del cofanetto miracoloso dell’Abate, egli