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i principi d’acaja 33

il pranzo, eccettuati i porri e l’insalata, che i frati mettevan di proprio, si crede anche col condimento. Soventissimo pure invitavano al palazzo capitani, nobili, preti, ambasciatori di piccoli stati, cittadini ragguardevoli. Trattavano i loro sudditi, si capisce, molto familiarmente; conoscevano tutti; davano udienza al primo venuto; vivevano con semplicità casalinga, senza misteri. Non pare che facessero grandi spese di lusso. Non si trovan registrate che pochissime spese per lavori di pittura che si facevan fare su pergamene, bibbie e salterii, e nelle stanze dove ricevevano. Erano anche di facile contentatura in fatto di medici: si facevan curare sovente dai veterinari, qualche volta di malattie cutanee poco pulite, e salassare, flebotomare, come dice elegantemente il chierico registratore, da quibusdam barbitonsoribus. Non profondevano quattrini che in giocolieri e menestrelli. Questo era il loro debole. È interminabile la lista dei regali e delle mance date a giullari, a cantastorie, a strimpellatori di chitarra, a tiratori di scherma, ad ammaestratori di cani, ad acrobati che facevano il saltum periculosum, qualche volta in pubblico, ma spesso anche nelle sale del palazzo. Ospitavano essi pure dei Goliardi. Tenevano in casa delle scimmie. Ci ebbero per un tempo un leopardo, col collarino d’argento, e col relativo magistro: oggetto, a quel che pare, di tenerissime cure. Del resto, si trovavano di frequente nelle strettezze, costretti a vendere gli ori e le gioie che avevan ricevuto in dono dai principi. Ricchissimi non potevano essere certamente, a malgrado di tutti

De Amicis. Alle Porte d’Italia. 3