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dal bastione malicy 403

voci si chiamino e si rispondano di qua e di là dal Lemina, e dalla pianura alle colline; grida d’amore tradito, sospiri di miserie senza speranze, addii a soldati lontani, e implorazioni di soccorso: cento voci, la grande voce diffusa e stanca della campagna che si lamenta delle fatiche mal compensate, dei balzelli, della leva, delle guerre, e invoca il sonno consolatore.



Tutt’a un tratto, un vento impetuoso che vien dall’Alpi disperde tutte quelle voci. E allora, davanti a me, comincia la grande sommossa della folla verde, agitata da mille idee e da mille passioni contrarie. È un rimescolio di tempesta: delle dispute appassionate di tigli che s’insultano; delle denegazioni rabbiose di gelsi offesi che gridano; no — no — mai, mai in eterno; — degli atti disperati e convulsi di acacie atterrite; degl’impeti di furore di pioppi che si curvano per far violenza ad alberelle sottili, le quali si arrovesciano e si divincolano; e delle piccole mischie feroci d’alberelli che s’odiano, e più in là un tentennio lento di grandi alberi saggi che disapprovano tutto quel sottosopra. A poco a poco, tutto si queta. Poi, da capo, come al soppraggiungere improvviso d’una mala notizia, un nuovo scoppio d’ira e di dolore, uno scatenamento di proteste e d’imprecazioni, una disperazione, un dimenìo, un non volersi dar pace, un tumulto di moltitudine minacciante, la quale pure, a