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la scuola di cavalleria 379

assai più che come ospiti, come figli, da vecchia gentildonna piemontese, nata di valorosi e cresciuta fra l’armi; e volta il capo in là con un sorriso, a suo tempo, da madre ragionevole e indulgente, che intende la giovinezza. E la Scuola le aggiunge vita e leggiadria. Il movimento degli elmi argentini e dei colbac neri, e delle divise strisciate di bianco, di rosso, di ranciato, di giallo, e il via vai rumoroso dei cavalli e dei soldati dello squadrone d’istruzione, le dà l’aspetto d’una città di frontiera quando è imminente la guerra. Oltre che quell’accolta di giovani è come un focolare continuamente riatizzato, che tien l’aria accesa di faville amorose, a cui volgon gli occhi ed aprono il cuore le figliuole gentili della fortissima hosti. Perchè grande è ancora la virtù seduttrice di quell’Arma, la quale unica forse, negli eserciti moderni, serbò un riflesso dell’antica poesia guerriera, e un certo nome di romanzesca spensieratezza, sdegnosa delle gretterie della vita. Quel pensiero della tomba aperta desta nei cuori femminili un vago senso di trepidazione, che è un principio d’amore. Lo scalpitare del cavallo adombrato chiama alla finestra un visino inquieto. Gli sguardi s’annodano. Qualche testa bruna di cavaliere, già accaldata dai colbac, s’accende; e più d’una testina dalle trecce bionde sogna un titolo patrizio e il golfo di Napoli o la Conca d’oro; e molte speranze paterne germogliano e fioriscono come pianticelle coltivate in segreto. Ma sopraggiungon gli esami, lo scoppio del primo temporal d’estate rompe i sogni, il primo vento d’autunno porta via i