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la scuola di cavalleria | 377 |
traverso a una notte ardente di Torino, si saranno tracannate d’un fiato otto ore di libertà e di pazzia, con la gioia frenetica della ribellione e del trionfo.
E quell’anno di Pinerolo rimane nella memoria di tutti gli ufficiali di cavalleria come uno degli anni più saporiti della giovinezza, forse appunto per ciò, che il più caro dei piaceri, quello della libertà, non vi si beveva che a stille, a traverso ai buchi del regolamento, ed ogni stilla riusciva come un’essenza potente che dava il profumo e l’ebbrezza di dieci calici. Molte volte, fra le cure e le amarezze che crescon via via, col crescere dei fili d’argento sopra il berretto e di sotto, essi lo ricordano con desiderio quell’anno fresco e vivace, che spicca come un fiore vermiglio nella filza in gran parte scolorita di tutti gli altri. E ritrovandosi dopo lungo tempo nei campi e nei presidi, subito, e sempre, si rammentano l’uno all’altro con loquace allegrezza le sciabolate date insieme alle teste di cuoio nel campo degli ostacoli, e le cavalcate su per la collina di santa Brigida e per i sentieri da capre del monte dei Muretti, e i capitomboli fatti e scansati, e quella sala da pranzo chiara e sonora, che intese tante proteste gastronomiche, smentite dal lavorio precipitoso degli “avorii„ giovanili, e quelle eterne clamorose discussioni tecniche sul cavallo ungherese e sull’italiano, e sulla sella antica e la nova, e sull’incrociamento orientale od inglese, e sulla cadenza delle andature e sull’equitazione di campagna e di maneggio, e tutti quei bei sogni ad occhi aperti, tutte quelle