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i difensori delle alpi 367

vertita in beccheria. Il Rogelli gettava ai soldati delle frasi cadorine: Fra nos, nos bos, nos vacis, faron nos fatis; ma morivan a mezz’aria negli applausi. Il comandante dell’ultima compagnia lo riconobbe, passando, e gli fece un cenno. — Ah! capitano, — gli gridò dietro il Rogelli, esaltato da un ricordo improvviso, — la nostra gita a Caprile con gli alpinisti! L’abbraccio alla vecchia colonna col leone di San Marco! La colezione davanti alle due bandiere della Serenissima! Ah! il mio Cadore adorato! — Ma gli portò via la parola il doppio acutissimo grido della moltitudine, che mandava l’ultimo addio a Val Cadore e il primo evviva a Val Tagliamento.



Ed ecco il Friuli, finalmente; il Piemonte orientale d’Italia, gli ultimi figli delle Alpi carniche, i lavoratori invitti e pazienti, ponderati e accorti, forti come tori, e mansueti, quando il vino non c’entra, e buoni, quando il cuore li muove, come i canti affettuosi e mestissimi delle loro montagne; e quando calano il pugno, tremendi; alti della persona, e di viso onesto; belli agli occhi nostri della poesia dei lontani, e della fierezza pensosa di avanguardie della patria. Al primo scoppio di grida, succedette nella moltitudine un mormorio lungo e quasi carezzevole, come d’un mare che bacia le sponde; e in mezzo a quella musica sommessa di saluti, più eloquente e più cara d’ogni plauso, s’avanzarono a passi pesanti, coi visi alti e seri, atteggiati a una certa espressione di stupore di gente ignara del mondo, i bravi figliuoli di