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paesi, leggiadre borgate dai tetti aguzzi, dove suona il canto melanconico delle bionde intrecciatrici di paglia, solitudini predilette dalle fate bianche che regalano le matasse miracolose, o infestate dai nani rossi, che scarmigliano i capelli alle ragazze; riposte valli dalle leggende eroiche e dalle tradizioni misteriose, piene di poesia e di bellezza, troppo ignorate da noi, vagabondi cercatori d’ispirazioni straniere! E tu pure ci avevi in quelle file il tuo sangue, o bella madre di pittori, vecchia Bassano dai verdi poggi, donde


scende la Brenta al mar tacita e bruna,


e tu Marostica industre, che tendi al cielo, come un braccio titanico, il nero torrione di Can Grande; e tu, tomba famosa dell’insuperabile cantor maccheronico, o Campese; e tu, Asiago ridente, che spandi per monti e per valli gli accordi armoniosi delle tue campane, vibranti ancora nell’anima dei tuoi figli lontani come la dolce voce dei parenti! — Viva Bassano! — gridò la folla. — Viva Recoaro! — Viva Valdagno! — Il Rogelli urlò: — Viva i Sette Comuni! — Ma la signora l’interruppe per domandargli se sapeva delle parole cimbre. Ed egli disse rapidamente: — Kersa, pluma, langez, sbalbala, taupa, veuer, stearn, sela, engel, Got. — E siccome l’entusiasmo lo metteva in vena di galanteria, tradusse con un crescendo appassionato: — ciliegia, fiore, primavera, rondine, colomba, foco, stella, anima, sole, angelo, Dio. — E matto, come si dice? — domandò mistress Penrith. — Narre!