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livi e di mirti, che si dipingon sull’acque! O bell’orto d’Italia, monte Baldo glorioso, dalle smisurate radici, che vedi da una parte ai tuoi piedi la calata maestosa dell’Adige, aspettato all’amplesso dalla sua metropoli armata, e dall’altra quella bellezza infinita d’isole e di penisole, di castella e di porti, e d’inaccessibili rupi e di fosche selve, e i battelli scorrenti sull’acque limpidissime del Benaco, o i cavalloni furibondi che sollevano sino al tuo capo il muggito della tempesta! Bella e cara terra, amata d’un amor sacro e triste da chi ti vide per la prima volta dalle alture insanguinate di Monte Croce! — Bei e cari fioi pieni de cor e buon umor! — esclamò il Rogelli. Marcerebbero tutto il giorno per poter ballare tutta la notte! E raccontò che mentre egli arrivava morto alla tappa, essi facevano sbucare le montanine non si sa donde, e ballavano a suon di tromba e a lume di luna per tre ore gonfiate, e poi andavano ancora a implorar dal capitano un’ultima polka, con l’aria di chi chiede la grazia della vita. — Viva gli Alpini, ost...! — gridò. — E mille voci ripeterono: — Viva gli Alpini! Viva i Monti Lessini! Viva Verona! — E un visibilio di fiori cadde sui talloni delle ultime file, che disparvero nel polverio della piazza, insieme alla visione del Lago di Garda.



E s’avvicinò il battaglione Val di Schio. A noi parve d’udire uno strepito diffuso d’opifici, e di veder sorgere alle falde dei bei monti vicentini centinaia di case d’operai, fiancheggiate d’orti: una piccola città americana, piena di scuole e