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i difensori delle alpi |
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benedetti colli che sentirono tuonare il cannone della speranza nel 48, nel 59 e nel 66, e tre volte videro la speranza svanire all’orizzonte col fumo delle ultime cannonate. La folla li accolse con una musica strepitosa di battimani e d’evviva, dominata dal bel nome di Verona. — Son facce simpatiche, — disse la signora; — ci son già dei tipi veneziani. — Ci son dei nativi di Valpolicella, — osservò l’agronomo, scotendo il capo, come per dire: — fortunati mortali! — Il Rogelli inneggiò alle bellezze dei Monti Lessini, vestiti d’un verde di smeraldo, picchiolati di centinaia di fattorie, dove si beve un latte da principini ereditari, di cui gli alpini si fanno delle spanciate da vitelli. Egli era stato l’anno innanzi con una compagnia alpina nella valle di Bertoldo, dove l’illustre Bertoldo è nato, ed era andato ad affacciarsi al grande baratro del vallon di Campegno, a quello spaventevole pozzo, dove si conserva il ghiaccio eterno; — e aveva tirato indietro per i capelli, appena in tempo, uno di quegli scervellati ragazzi, che faceva la marionetta sull’orlo. Aveva praticato tutt’e quattro le compagnie. V’erano giovani di tutte le parti del Veronese; di quelli degli ultimi gioghi del regno, nati alle porte sospirate del Trentino; coltivatori dei campi di battaglia di Pastrengo e di Rivoli; e colligiani cresciuti sulle ariose alture da cui minacciano ancor la campagna i castelli diroccati degli Scaligeri. — O bel paese! — esclamò. — O Caprino! O Bardolino! O San Pietro Incariano! — Ah sì, gli si poteva far eco. O bel monte della Rocca di Garda, dai burroni fasciati d’u-