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i difensori delle alpi 357

larissimi, dai giovani tarchiati, di viso largo e diritto, di naso ricurvo e d’occhi neri, rivelanti l’antica immigrazione umbra ed etrusca in Val dell’Oglio; alle alte figure bionde, dal viso rotondo e dagli occhi celesti, che tradiscono gl’innesti slavi, longobardi e alemanni; un mirabile battaglione davvero, un torrente di sangue caldo e generoso, di gioventù audace e possente, altera del nome bresciano, pronta in pari modo alle violenze dell’ira e alle ispirazioni d’ogni affetto più nobile; dal cui linguaggio tronco e vibrato traspare la bontà risoluta e sincera. Nell’altissimo grido: — Viva Brescia — che alzò la moltitudine, v’era un saluto agli eroi della grande difesa del 49: — i soldati capirono; — e tutti quegli occhi corruscarono come carboni accesi. Erano abitatori degli aspri monti forati come madrepore dalle cave di ferro; figlioli del solitario Bagolino, discendenti dei bellicosissimi hominum, rispettati da Bruto; ardimentosi cacciatori d’orso di Monte Vaccio; e aitanti mandriani di Mù e di Saviore; eran lavoratori di metallo di Val Gobbia, lavoratori di marmo di Rezzato, tagliatori di pietra di Cortenèdolo, e carbonai di Pezzo, cresciuti sotto la selva sacra degli abeti e dei larici giganteschi, da cui scende a valle di notte il prete favoloso che cresce di statura a ogni passo. E ci balenava alla fantasia il romantico lago d’Iseo, mentre passavano, e l’Idro alto e triste, e la faccia tetra del Lago nero, e i riflessi argentei del Lago bianco; e la piccola Salò madre gentile di figliuoli forti; e tutti quei poggi e tutte quelle valli, già rosseggianti