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dove si vede lì come a un trar di mano sorridere e arrossire il Monte Rosa sotto il primo bacio del sole; di tutti quei bei villaggi di linguaggio e d’aspetto tedesco, che presentano ciascuno, come un fiore proprio, un costume di donna tutto grazia, colori e bizzarria. Passavano dei cacciatori d’aquile e di marmotte, degli stuccatori e dei marmoristi, dei giovani altissimi, delle teste bionde come il grano, dei nativi di Fobello, che ha fama di dar le più belle ragazze delle Alpi, graziosamente incoronate di nastri verdi e vermigli, ricadenti sopra le spalle: dei fratelli, dei fidanzati forse di quelle forti Margherite dell’alta valle di Sesia, che veston i giustacuori neri e scarlatti, trapunti d’oro e d’argento, scintillanti al sole come corazze di principesse guerriere. E la moltitudine gridava: — Viva Ivrea! Viva Vercelli! Viva Novara! — Era l’ultimo battaglione piemontese che passava, gli ultimi figli del grand’arco dell’Alpi che va dal Monte Rosa al Colle di Cadibona; i cuori batteron più forte, i fiori piovvero più fitti, i saluti presero il suono d’un addio, e si prolungarono.... Quando a un squillo delle nuove trombe che venne d’in fondo alla piazza, tutta la folla si voltò da quella parte impetuosamente, e il cielo risonò d’un grido solo: — La Lombardia!



Fu un’apparizione splendida e cara, un’ondata di poesia manzoniana che c’entrò nell’anima. Il battaglione Valtellina, i figliuoli del Resegone, chi non li conosceva? i compaesani di Lucia, d’Azzeccagarbugli e di Don Abbondio; le