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i difensori delle alpi 351

che nei lontani paesi dove sarebbero andati a guadagnarsi il pane per la vecchiaia, non avrebbero dimenticato quel grido.



E allora si sollevarono dinanzi a noi i quattro prodigi delle Alpi: fu come una rapidissima sfolgorante visione del Monte Rosa e del Monte Bianco, del Cervino e del Gran Paradiso, di dieci valli, di cento laghi, di mille picchi, e di formidabili abissi, e di castelli merlati, e di torri e d’archi romani, e di vasti boschi d’abeti e di pini, imbiancati dalla luna e squassati dal vento dei ghiacciai. Benvenuti i granitici figli della grande vallata. A tutti parve di veder guizzare tra le file le gonnelle rosse delle ragazze di Gressoney, e alzarsi i larghi cappelli rotondi e i capricciosi berretti neri delle montanare di Challant e di Cogne. E tutti intesero gridare il nome del loro paese, le guide di Valsavaranche e i pastori di Valpellina, i vignaioli di Valtournanche e gli spazzacamini di Rhèmes, i tessitori di Valgrisanche e i figliuoli d’Aosta, italiani tutti nel cuore, qualunque sia il linguaggio che suoni sulle loro labbra, e prodi, certo, alla prova, come i loro padri della vecchia brigata, che il Piemonte venera ancora. — Viva Aosta la veja! — gridò la folla, rimescolandosi. — Viva Crodo! Viva Domodossola! Viva Val Sesia! — Poichè v’erano pure nel battaglione i figli di quella nobile valle, sulla quale spira come un’aura gentile la gloria di Gaudenzio Ferrari, che suscita e tien vivo nelle anime più incolte un sentimento amoroso dell’arte; di quei recessi profondi e tranquilli, di