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i difensori delle alpi 345

dei luoghi ove vivono, volgono la mente alle superstizioni. E credono e raccontano storie miracolose d’inabissamenti di monti e di apparizioni terribili, e consultan gli stregoni e ragionan coi morti la notte. — Con quelle facce lì, sì signori! — gridò il Rogelli guardandoli, col suo largo riso paterno. — E porteranno nelle marce le tasche piene di minerali per il loro tenente, od anche una marmotta viva, o un miriagramma di muffa per farsi il letto; ma un teschio trovato fra le rocce, per il museo alpino del maggiore, ah! mai al mondo.... Ah i miei cari semplicioni! Evviva la faccia vostra! Evviva Val Dora! — E la folla ripetè entusiasticamente: — Evviva Val Dora! Evviva Susa! Evviva Avigliana! — fin che fu intronata alla sua volta dalla fanfara infernale di Val Moncenisio.



Era il battaglione gemello di quel di Val Dora, levato nella stessa Comba di Susa e nelle tre valli sorelle per cui scendono a salti sonanti i tre rami della Stura di Lanzo, e sui poggi ameni di Corio, di Rivara, di Fiano, di Ceres, seminati di borghi floridi e di ville. O belle memorie di scampagnate domenicali, di cene sotto le pergole e di balli nei giardini illuminati! Bei valloni boscosi e freschi, e santuari altissimi, luccicanti come perle bianche sull’immenso manto verde della montagna! A veder le facce di melagrana di quei soldati, venivano al pensiero le fiorenti balie di Viù, ingioiellate come madonne, che spandono intorno un odor di latte e di salute, e le vezzose montanine di Lemie,